TFF38. Fried Barry, la recensione

Barry fa veramente schifo! Un uomo inetto intrappolato in una vita vuota e castrante, dall’aspetto grottesco, costantemente strafatto, con i neuroni bruciati dalla metanfetamina, dal fegato spappolato dall’alcool, padre di un bambino chiuso in se stesso, compagno di una donna aggressiva e frustrata che – giustamente – gli fa notare l’inutilità delle sue azioni quotidiane. Un giorno Barry viene rapito dagli alieni e trasportato su un’astronave, sottoposto a esami fisici poco carini e rispedito sulla Terra sotto l’influenza di una mente aliena. Catatonico e dallo sguardo allucinato, nessuno si accorge della differenza, neanche la sua dolce metà, che anzi apprezza la sua improvvisa libido. L’alieno/Barry è ora determinato a fare qualsiasi esperienza sulla Terra, anche le più estreme… soprattutto le più estreme! Tra droghe di ogni tipo, sesso selvaggio con donne e uomini, Barry si troverà ben presto stremato.

Fried Barry è il primo lungometraggio del sudafricano Ryan Kruger, che adatta un suo cortometraggio del 2017 dal medesimo titolo e chiama a interpretarlo lo stesso attore, il meraviglioso freak Gary Green.

Fried Barry

Fried Barry è un’opera liberatoria, anarchica, priva di qualsiasi compromesso con quello che normalmente intendiamo per cinema mainstream, un progetto folle che chiede allo spettatore di immergersi totalmente nella testa alienata di un alieno. Una richiesta impegnativa, probabilmente anche respingente per qualcuno, ma assolutamente unica ed eccitante che ci trasporta su un ottovolante di sensazioni contrastanti. Da una parte Fried Barry è fastidioso, ripetitivo, allucinante disgustoso, ma dall’altra è affascinante, travolgente, divertente. Ryan Kruger, che ha anche scritto la sceneggiatura, riesce a catturare – nel bene o nel male – l’attenzione dello spettatore e gli offre una cosa (lui stesso definisce Fried Barry nei titoli “una cosa” e non “un film”) tanto repellente quanto attrattiva.

Fried Barry

Lo stile lisergico inevitabilmente adottato da Kruger fa un uso massiccio di macchina a mano e steadycam, di obiettivi distorcenti, di filtri colorati, e poi la musica elettronica che accompagna tutte le azioni del protagonista, sempre più martellante, riescono a restituire perfettamente l’esperienza straniante che il film mette in scena. A tutto questo bisogna aggiungere il su menzionato Gary Green, caratterista con una mole considerevole di piccoli ruoli all’attivo, qui protagonista eccezionale grazie alla fisicità unica e alla mimica facciale incredibile che si adagia a perfezione sull’idea stessa di “alieno”.

Fried Barry

Fried Barry soffre sicuramente di ripetitività e, in effetti, l’idea che fosse un cortometraggio in origine è comprensibile, ma di contro ha il vantaggio di vivere di frangenti episodici, per cui la lunga avventura dell’alieno Barry è sezionabile in tante macro-sequenze, alcune talmente allucinanti ed eccesive da far guadagnare a Fried Barry il titolo di film instant-cult. Una su tutte: l’amplesso con la prostituta che si trasforma immediatamente in gestazione e parto.

Un film controcorrente che riesce perfino a toccare corde di tenerezza e romanticismo nell’ultimo atto, quando ci fa affezionare a questo strambo scoppiato e alla sua improbabile famiglia allargata.

Fried Barry

Ryan Kruger, però, non è solo un simpatico provocatore, ma dimostra con il suo lungometraggio, dopo una carriera decennale alle prese con i corti, di avere una mano davvero interessante e uno stile unico che appare come un mash-up tra Quentin Dupieux sotto acidi e un Leos Carax più grezzo, con echi da Paura e delirio a Las Vegas, Trainspotting e The Borrower – Il cacciatore di teste.

Insomma, Fried Barry è una fanta-comedy con momenti di felice horror-splatter che sa lasciare il segno e sicuramente verrà ricordato nel tempo per il suo stile e la sua eccentricità.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un film unico per stile e idee.
  • Gary Green ha un volto iconico e regge a meraviglia l’intero film sulle sue spalle.
  • Ehi, ma c’è un parto alieno disgustoso!
  • Ha una narrazione ripetitiva che alla lunga stanca, anche perché sta di poco sotto le due ore di durata.
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