The Gray Man, la recensione

La vita di un agente segreto, al cinema, è irta di pericoli che, il più delle volte, arrivano direttamente dall’interno dell’agenzia per la quale quell’agente lavora. Ormai è una costante delle spy-story, il punto di partenza utile a portare avanti minuti su minuti di spettacolare distruzione e improbabili intrighi di potere. Non fa la differenza The Gray Man, l’ultimo costosissimo parto cinematografico di Netflix che per l’occasione ha chiamato a dirigere e co-sceneggiare i marveliani fratelli Anthony e Joe Russo

La CIA ha un programma di spionaggio segreto denominato Sierra che comprende alcuni agenti sotto copertura super addestrati a cui vengono affidate missioni ad alto rischio. Sierra Six è un sicario infallibile, ex galeotto trasformato in un’arrestabile macchina omicida priva si sentimenti (è un Grey Man) dall’agente Donald Fitzroy, che è rimasto il mentore di Six anche se negli ultimi anni è stato sostituito nel ruolo che ricopriva all’Intelligence dal giovane e rampante Danny Carmichael. Quando Sierra Six viene contattato per uccidere Sierra Four, il “nostro” non si fa troppe domande sul perché un suo collega sia finito nell’obiettivo dell’Agenzia e porta a termine il suo lavoro ma, prima di morire, Four consegna a Six un medaglione contenente una chiavetta USB con scottanti documenti. Da quel momento, Six diventa il nuovo obiettivo della sua stessa Agenzia e, oltre a sopravvivere a un manipolo di sicari spietati, tra cui lo psicopatico Lloyd Hansen, dovrà portare a galla il marcio che si nasconde nella nuova gestione del programma Sierra.

The Gray Man non è la prima collaborazione tra i fratelli Russo e Netflix, infatti due anni fa usciva il potentissimo Tyler Rake per la regia di Sam Hargrave che contava sulla sceneggiatura di Joe Russo e sulla produzione esecutiva dello stesso con suo fratello Anthony. Solo che stavolta il colosso dello streaming coinvolge i talentuosi fratelli registi di Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame anche nella regia e, paradossalmente, il loro spy/action non riesce neanche lontanamente ad avvicinarsi alla qualità e alla freschezza di Tyler Rake.

Il problema maggiore di The Gray Man è che tutto sa di già visto, ma a livelli talmente ingombranti da risultare prevedibile in ogni singola sequenza, scontato nei colpi di scena e nella sua conclusione e perfino quasi anonimo nelle comunque spettacolari scene d’azione.

Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Mark Greaney, tassello di una corposa saga letteraria, The Gray Man si apre letteralmente tra i fuochi d’artificio, con una sequenza visivamente molto accattivante che vede uno scontro corpo a corpo su un tetto di Bangkok nel bel mezzo di uno spettacolo pirotecnico. Ma già in questa occasione stilosissima si nota una zoppicante costruzione coreografica di tutto lo scontro, con un combattimento poco fluido e a tratti montato in maniera confusa che è solo l’anticipazione di quanto accadrà. E infatti, con una certa sorpresa da parte di chi scrive, The Gray Man continua inanellando una dietro l’altra sequenze d’azione molto elaborate che mancano sia di fantasia che di fluidità coreografica, spesso “salvate” da un ottimo lavoro fatto con i droni. E questo dato, in un’epoca post Fast and Furious e post John Wick, appare alquanto controproducente, soprattutto se il film cerca di perseguire comunque quell’intento spettacolare e anti-realistico che contraddistingue le su citate saghe.

Ma non è solo un problema di azione, perché l’anonimato avvolge un po’ tutto il film dei fratelli Russo a cominciare da uno sviluppo narrativo e figurativo che sembra solo fare un “taglia e cuci” da situazioni e personaggi visti e rivisti nelle maggiori saghe spy/action degli ultimi 20 anni. Dallo 007 con Craig a Mission: Impossibile, passando per Jason Bourne e l’Universo di Tom Clancy: The Gray Man sembra rubacchiare spudoratamente da tutto e tutti senza riuscire a forgiare una sua personalità. Anzi, una piccola nota di differenziazione c’è ed è l’ironia, a cui il film dei Russo spesso fa ricorso. A volte le battutine del villain Lloyd, gli ammiccamenti di Sierra Six e i suoi battibecchi con la collega Miranda vanno a segno, altre volte appaiono completamente fuori luogo e fini a se stessi. Insomma, manca quel lavoro di fino che un tale blockbuster avrebbe richiesto.

Il cast di The Gray Man conta nomi di un certo peso, a cominciare dai protagonisti Ryan Gosling e Chris Evans. Il primo è Sierra Six, un “Grey Man” ruolo che giustifica l’ormai consolidata inespressività dell’attore; il secondo è il molto più efficace villain Lloyd Hansen, divertito psicopatico con improbabile golfino e baffo demodé che fa tanto Fratelli Coen. Poi, in un ruolo di rilievo super-action, abbiamo Ana de Armas che sembra fotocopiata direttamente dall’agente Paloma di 007 – No Time to Die: lei è brava, carinissima e palesemente portata per i ruoli d’azione e, a conti fatti, è la cosa più riuscita dell’intero film. In ruoli di contorno, Billy Bob Thornton nei panni del mentore di Six, Jessica Henwick di Matrix Resurrections come ambiguo braccio destro del cattivone di turno e l’inespressivo belloccio di Bridgerton Regé-Jean Page nel ruolo di quest’ultimo.

Insomma, davvero nulla di memorabile negli agenti speciali dei Fratelli Russo e The Gray Man, tra uno spettacolare inseguimento a Praga e una scazzottata in un castello in Croazia, lascia davvero poco allo spettatore. Un compitino ben eseguito ma in cui nessuno sembra averci messo vera passione e impegno.

Si prospettano sequel.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Ana de Armas e, in parte, Chris Evans.
  • Alcune spettacolari scene d’azione, come il lungo e distruttivo inseguimento a Praga.
  • Ogni cosa sa di già visto: storia, personaggi, colpi di scena.
  • Alcune coreografie d’azione sono confuse.
  • Ryan Gosling e Regé-Jean Page nello stesso film mettono a dura prova la credibilità generale.
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Valutazione: 5.5/10 (su un totale di 2 voti)
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