The Grudge, la recensione

Se Nietzsche ci spiegava con L’eterno ritorno dell’uguale l’inevitabile ciclicità degli eventi che conduceva a una sostanziale immutabilità del senso delle cose, qualcuno a Hollywood deve aver preso dannatamente sul serio la sua teoria abbassando in maniera precipitosa l’intervallo di tempo tra un ciclo e il successivo. Perché se ormai la concezione di remake o reboot è prassi nel mondo del cinema, ancora di più se parliamo di cinema horror, le distanze tra un reboot e l’altro si accorciano sempre di più e così assistiamo a distanza di pochi anni anche a operazioni come The Grudge, forse spinto dal rinnovo generazionale del pubblico già pronto ad avere una nuova versione dell’incubo proveniente dal Giappone.

Eh già, perché le origini della “maledizione” chiamata The Grudge sono identificabili con il massimo fulgore del trend noto come j-horror, che tra la fine degli anni ’90 e i primi del terzo millennio ha spopolato in tutto il mondo, innescando negli USA una serie sostanziosa di remake di successi nipponici, thailandesi e sudcoreani da riempire per mesi e mesi i listini delle major cinematografiche. Tra questi abbiamo appunto The Grudge.

Tutto ha inizio nel 2000 con un film tv diretto dal talentuoso Takashi Shimizu, Ju-on, che raccontava la tragica vicenda di una donna e il suo bambino morti in circostanze violente che tornavano come fantasmi rancorosi per perseguitare i viventi. Il successo di questo horror televisivo generò immediatamente un seguito, sempre per la tv, e Ju-on 2 arrivò lo stesso anno sempre per la regia di Shimizu. Ma il potenziale di questa semplicissima storia viene immediatamente notato e nel 2002 arrivava il primo film della saga per il cinema, Ju-on: Rancore, che porta sempre la firma di Shimizu, così come il suo instant-sequel Ju-on 2: La maledizione (2002). Ma i fantasmi rancorosi Kayako e Toshio invadono immediatamente anche gli Stati Uniti e nel 2004, prodotto dalla Ghost House di Sam Raimi, esordiva nei cinema The Grudge, remake a stelle e strisce interpretato da Sarah Michelle Gellar e sempre rigorosamente diretto da Takashi Shimizu, che ovviamente non diserta anche il rispettivo sequel del 2006 The Grudge 2 ma declina gentilmente The Grudge 3 (2009), arrivato direttamente in home video e diretto da Toby Wilkins.

Nel frattempo, però, in Giappone la saga continuava e nel 2009 sono stati realizzati back-to-back Ju-on: Shiroi rōjo e Ju-on: Kuroi Shoujo. E ancora nel 2014 Ju-on – Owari no hajimari e l’anno successivo Ju-on: Za fairanu entrambi diretti da Masayuki Ochiai. Tutti i capitoli nipponici di Ju-on successivi al secondo sono attualmente inediti in Italia, fino a La battaglia dei demoni (Sadako VS Kayako) diretto da Kōji Shiraishi nel 2016, che faceva scontrare l’inquietante Kayako con Sadako, l’altra celebre boogeywoman del cinema asiatico protagonista della saga Ringu. Insomma, la perfetta chiusura del cerchio che le icone horror bramano. Un punto d’arrivo oltre il quale è difficile spingersi e infatti la maledizione di Ju-on riparte da zero, con un reboot americano sempre a firma Ghost House Pictures.

The Grudge versione 2020 però è un prodotto anomalo. Di fatto si tratta di un reboot, assolutamente non un remake, ma potrebbe essere anche letto come un sequel dei film prodotti fino a una decina di anni fa dalla Ghost House. La storia prende avvio in Giappone, dove una donna americana lavora come consulente immobiliare ed entra in contatto con l’abitazione in cui si è consumato un efferato omicidio. La donna inizia ad avere strane visioni che porta con se quando torna negli Stati Uniti dalla sua famiglia, trascinando di fatto una maledizione che la spinge a farsi protagonista di un sanguinoso omicidio/suicidio ai danni di marito e figlioletta. Anni dopo, la poliziotta Mandy, rimasta vedova e con un figlio a carico, si trova a indagare a un misterioso caso che la conduce nell’abitazione in cui si era consumato il delitto della consulente immobiliare e in cui ora abita un’anziana signora affetta da demenza senile. Inconsapevolmente Mandy trascina su di se la maledizione e per lei inizia un calvario fatto di inquietanti visioni di morte.

Con inaspettata sorpresa e più di qualche perplessità ci accorgiamo che Nicolas Pesce, uomo designato da Sam Raimi per scrivere e dirigere The Grudge, ha cambiato sostanzialmente le carte in tavola. Potremmo dire, anzi, che di Ju-on è rimasto solo il concept di base della maledizione ultraterrena che si trasmette come un virus in coloro che visitano la casa infestata. Per il resto, la nuova versione di questa storia riscrive un po’ tutto a partire dall’iconografia fantasmatica delle minacce. Non abbiamo più la donna rantolante e dinoccolata Kayako e il bambino dal miagolio facile Toshio che, giustamente, rimanendo legati alla casa infestata in Giappone non avrebbero avuto per logica modo di esistere in una casa infestata nel nord degli Stati Uniti. Al loro posto, però, prende forma una nuova famiglia di spettri che non hanno neanche un briciolo della forza evocativa e terrorizzate di quelli creati da Takashi Shimizu; infatti i “nuovi” spettri ci appaiono del tutto anonimi e troppo simili a dozzine e dozzine di fantasmi/tizi posseduti visti negli ultimi tempi in film e filmetti americani. Quindi il primo passo falso di Nicolas Pesce sta nell’aver annullato la carica iconografica della saga.

Per il resto, ci troviamo dinnanzi a un film frammentato da una struttura narrativa che alterna più piani temporali con l’intenzione di fornire una panoramica a incastro delle vicende che hanno coinvolto i personaggi nell’arco di diversi anni. Un’espediente che sicuramente ben rimpiazza la struttura notoriamente episodica della saga nipponica senza ripeterla, ma crea anche un senso di confusione generale che non aiuta a star dietro alla vicenda già abbastanza ricca di dettagli e personaggi.

Dal canto suo, però, va riconosciuto a Nicolas Pesce, che si era già distinto per il thriller/horror con Mia Wasikowska Piercing, un certo gusto per il macabro che si sposa a perfezione con l’atmosfera funerea necessaria a dare personalità al suo film. The Grudge ha un’aria opprimente, riesce a trasmettere un senso di impotenza e vulnerabilità dinnanzi a eventi soprannaturali dai quali sembra impossibile sottrarsi. Contribuisce anche la suggestiva fotografia di Zachary Galler che gioca moltissimo con i contrasti dipingendo le scene di toni caldi, gialli soprattutto, e neri profondissimi.

Per la prima volta nella storia della saga, The Grudge si fa pesantemente gore e più di una scena spinge il pedale sulla violenza bruta e il sangue copioso, antidoto graditissimo contro la supremazia degli ormai logori jump-scares, che comunque fanno capolino in più di un’occasione.

Cast dal curioso assortimento che affianca la brava protagonista Andrea Riseborough (ZeroZeroZero, Oblivion) a Demián Bichir (The Hateful Eight, The Nun), John Cho (Star Trek, Searching) e l’immancabile (per un horror) Lin Shaye.

Tra qualche riuscita suggestione e alcune scelte palesemente sbagliate, The Grudge si appresta a finire nel dimenticatoio lasciando nello spettatore completista una domanda che riecheggia nella testa: ma ce n’era davvero bisogno? La risposta possiamo evincerla tutti…

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un’atmosfera lugubre che calza a pennello con la saga.
  • Un’inaspettata vena gore.
  • Sottrae alcuni elementi iconici che era necessario mantenere.
  • Inutilmente ingarbugliato e anche un pizzico noiosetto.
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Valutazione: 5.5/10 (su un totale di 2 voti)
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