The Idol, la recensione

Viene da sé che, anche in mancanza di un particolare interesse circa i principali avvenimenti di politica internazionale, praticamente nessuna persona sana di mente e un pochino informata su quel che accade nel mondo, si sognerebbe mai di indicare Gaza come ambiente ideale per far crescere dei bambini.

Giusto per avere una chiara idea della situazione: la città fa parte di un territorio controllato (teoricamente) dall’Autorità Nazionale Palestinese, in virtù degli accordi di Oslo del 1993, ma (di fatto) gestita in via esclusiva da Hamas, che disconosce il potere dell’ANP. Come se non bastasse, Gaza si ritrova inserita in un territorio occupato da Israele, che predispone di conseguenza il blocco di tutte le sue frontiere. La città è quindi, simbolicamente e fisicamente, una sorta di enorme prigione a cielo aperto. L’immagine più significativa di quel colossale (e apparentemente inestricabile) rebus che è il conflitto israelo – palestinese. A questo punto verrebbe da dire che il destino ha servito al piccolo Mohammed Assaf, a sua sorella Nour e a tutti i loro amici una mano non particolarmente benevola. Indiscutibile, ma non si può negare come molto sfugga, ad un’analisi superficiale. Ed è a questo punto che entra in gioco The Idol.

Il punto di partenza del racconto è la drammatizzazione di eventi realmente accaduti.

Mohammed Assaf non è il prodotto della fantasia di uno sceneggiatore, e quella che ci viene mostrata nel corso del film, è una reinterpretazione della sua storia.

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Il film opera su due piani temporali.

Primo: 2005, Mohammed Assaf è un bambino benedetto dal dono di una voce straordinaria che, nonostante le oggettive difficoltà, e grazie al supporto incessante della sorella Nour, la presenza più gradevole di tutto il film, una presenza vitale, appassionata, con un’intensità espressiva che colpisce lo spettatore e resta impressa ben oltre i titoli di coda, non ha paura di sognare in grande. Addirittura, l’Opera Hall del Cairo. Per il momento però, deve accontentarsi di cantare ai matrimoni in una piccola band insieme agli amici.

Secondo: 2012. La situazione in città si fa problematica; l’assedio dei territori più intenso, le macerie si moltiplicano, la tragedia è già entrata nella vita del protagonista. Resta la voce, ma ben poche speranze ad accompagnarla. Oppresso e frustrato da una condizione che percepisce senza via d’uscita Mohammed, che guida taxi per pagarsi gli studi universitari, ed avuta notizia delle selezioni per il reality show Arab Idol, decide di tentare l’impossibile. Dove per impossibile si intende riuscire a fuggire da Gaza, raggiungere il Cairo, partecipare alle selezioni, superarle, prendere parte al programma e poi…

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In questo senso, è un pregio ammirevole la capacità di The Idol di veicolare il respiro universale di una favola che parla di sogni, e degli sforzi e dei sacrifici necessari per realizzarli, all’interno di un contesto storico/politico ben definito, senza indulgere in artifici sentimental – retorici, capaci soltanto di rovinare la verità di un film con la loro patina di illusoria gradevolezza.

I paragoni con il celebre film di Danny Boyle The Millionaire sono difficili da scansare, ma si possono accettare fino a un certo punto. Il film del 2008 partiva da uno spunto narrativo originalissimo, ed esprimeva in maniera frenetica e colorata una volontà di riscatto analoga a quello del nostro Mohammed; tuttavia, l’India di Boyle, la sua povertà, restano un’astrazione, una pregevole ma pur sempre artefatta costruzione stilistica. Sono le autentiche e polverose rovine di Gaza, quelle che lo spettatore osserva sfilargli davanti agli occhi.

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Palestinese è il cast, a partire dai giovani bravissimi protagonisti, palestinesi le location, palestinese la troupe. Questo intenso bisogno di verità deriva dall’impostazione stilistica operata dal regista del film, Hany Abu Hassad, una solida reputazione nel circuito del cinema d’autore, costruita attorno ai forti consensi raccolti dai precedenti Paradise Now (2006) nomination all’Oscar e Golden Globe al Miglior Film Straniero, e Omar (2013), altra nomination all’Oscar e Premio della Giuria nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2013. Il suo The Idol dimostra un’ammirevole capacità di giostrare, nel corso del film, diversi registri narrativi, ciascuno chiamato in causa ad offrire il suo contributo, modulato a seconda dei momenti e delle esigenze del racconto: divertente e moderatamente scanzonato nella prima fase, il film sembra qui riecheggiare atmosfere e soluzioni da romanzo di formazione; nervoso, veloce e intenso nella seconda parte, più consona a tratti, alla forza adrenalinica di un thriller. Nel mezzo, una fugace ma potente incursione del melodramma.

Senza particolari fronzoli narrativi, stacchi di montaggio all’insegna della concisione e della rapidità fanno da anello di congiunzione fra i due tempi del film. Un senso di immediatezza che giova senza dubbio alla godibilità della pellicola.

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The Idol è dunque un buon film, gradevole, emozionante e ben costruito, non particolarmente manipolatorio né prono a concessioni sentimentali inopportune; il senso di verità che emerge dal racconto non deve però ossessionare oltre un certo limite lo spettatore. Che Mohammed raggiunga o meno il Cairo, che gli sia possibile partecipare al programma, quali siano effettivamente e nello specifico le dinamiche che lo condurranno lì dove lo lasceremo al termine della storia, questo sarà possibile scoprirlo andando al cinema. O facendo una semplice ricerca su Google. Ma non è questa, la verità verso la quale lo spettatore deve orientare la sua massima attenzione. Ciò che conta, è il senso dell’esperienza di Mohammed Assaf, la possibilità, offertagli dal caso e incisa sulle sue corde vocali, di farsi icona di un popolo che vuole dare presenza di sé, nel mondo, attraverso l’arte, attraverso il canto, attraverso la bellezza, nella speranza decisamente utopica che tutto questo prevalga sul caos e la violenza.

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Un messaggio fortemente politico e, dati i tempi, profondamente anticonformista. Senza bisogno di pietre, bombe, coltelli. Meritevole di essere analizzato, indipendentemente dalle posizioni di ciascuno.

Francesco Costantini

PRO CONTRO
I piccoli protagonisti del film, vitali e appassionati. La seconda parte del film funziona, ma in maniera meno efficace della prima.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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