The Mandalorian – Stagione 2: la saga di Star Wars rinasce da qui!

Kathleen Kennedy ha fatto bingo grazie al lavoro svolto da Jon Favreau con The Mandalorian, vedendo riabilitata la reputazione della saga di Star Wars, incrinata dal consenso non esaltante ricevuto sull’ultima trilogia. La prima serie live action di Lucasfilm, che di fatto è stata la killer application di Disney+, ha trovato il favore anche dei più esigenti starwarsiani e la prima stagione di The Mandalorian ha creato un nuovo punto fermo (qualcuno direbbe un nuovo inizio) all’interno della saga fantascientifica per eccellenza. Una seconda stagione, però, era attesa al varco con molte aspettative che pesavano sulla produzione come la leggendaria spada di Damocle: conferma o smentita? All’indomani della conclusione degli otto episodi (avvenuta il 18 dicembre) che compongono la seconda stagione di The Mandalorian possiamo affermare che non solo la serie su Mando e Baby Yoda si conferma un prodotto di qualità eccezionale, ma che questa seconda annata riesce perfino a superare per qualità di scrittura e messa in scena la già ottima prima stagione.

D’ora in poi parleremo a ruota libera di The Mandalorian – Stagione 2, quindi se non l’avete ancora vista vi consigliamo di non proseguire nella lettura perché potrebbero esserci degli spoiler.

Jon Favreau, Dave Filoni e Rick Famuyiwa, che si sono occupati della scrittura e di parte della regia di questa seconda stagione, sono rimasti fedeli alla struttura già sperimentata nella prima stagione: episodi della durata che oscilla tra i 30 e i 55 minuti, costruzione semi-conclusiva di ciascun episodio ma concatenati a uno sviluppo narrativo orizzontale. Dunque, ogni episodio prevede una missione da portare a termine che inizia e finisce con l’episodio stesso ma allo stesso tempo prosegue anche la storia generale della serie. Una struttura che oggi appare un po’ desueta considerando la centralità dello sviluppo orizzontale a cui ci ha abituato la serialità degli ultimi decenni, ma che ne caso di The Mandalorian trova una sua funzionalità vintage perfettamente in linea con l’operazione e particolarmente adatta a portare avanti la semplicità e la genuinità della storia sviluppata dal team di Disney e Lucasfilm.

Rimane quel sapore da cinema classico che Favreau aveva già sperimentato nella prima stagione con un finto minimalismo che rievoca la prima trilogia di Star Wars e riscontrabile tanto nei costumi e scenografie quanto nell’utilizzo massiccio di effetti dal vero, preferiti all’uso di invasiva CGI inevitabile in molti frangenti più spettacolari della saga cinematografica. A questo si unisce uno sviluppo lineare della storia e una costruzione chiara dei personaggi che risponde all’esigenza di distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto. Inoltre, si torna a solcare suggestioni care al cinema western, all’avventura anni ’80 con un’aggiunta di poetica orientale che non guasta mai e che catalizza l’attenzione nel bellissimo capitolo 13 (o episodio 5), La Jedi, che porta la firma di Dave Filoni sia in regia che in scrittura. Ma il colpaccio di questa seconda stagione, quello che è riuscito ad elevarla, magari toccando ruffianamente anche le corde più facili della fanbase, è stato il modo naturale con cui questa stagione trova uno sviluppo adeguato nei personaggi e intreccia le loro storie con quelle di altri già presenti nell’universo di Star Wars.

Avevamo lasciato Din Djarin e il Bambino liberi di cercare altri appartenenti alle loro specie, dopo lo scontro non privo di perdite che era avvenuto con gli ex imperiali capitanati da Moss Gideon. Ora troviamo i due avventurieri in arrivo su Tatooine per seguire le tracce dei mandaloriani e far la conoscenza di nuovi personaggi, come lo sceriffo Cobb Vanth, che si mostra un leale alleato e ha il volto di Timothy Olyphant, si trova a dover affrontare una minaccia che i fan della saga ben conoscono, un famelico drago krayt. Ma il colpo di genio piazzato già in questo primo episodio sta innanzitutto nell’aver inserito richiami diretti a Boba Fett, uno dei personaggi più amati e meno sfruttati della saga di Star Wars. Prima l’armatura del mercenario defunto all’inizio de Il ritorno dello Jedi, che diventa motivo di contesa nell’episodio, poi indizi che suggeriscono che il celebre clone non è in realtà morto.

E infatti Boba Fett, interpretato da Temuera Morrison, che aveva già dato volto a Django Fett in Episodio II e Episodio III, compare nel capitolo 14 (episodio 6) e da quel momento diventa quasi un regular nel proseguo della stagione, tanto da aggiudicarsi la scena post credits dell’ultimo episodio che annuncia proprio una serie a lui dedicata, The Book of Boba Fett, attesa per dicembre 2021 sempre su Disney+. Ma Boba Fett non è l’unica strizzata d’occhio ai fan di lunga data di Star Wars e tra luoghi famigliari, comparse dal bestiario lucasiano e citazioni ad eventi tipici dell’universo starwarsiano c’è spazio per altri personaggi conosciuti, alcuni davvero iconici.

Nel già citato episodio 5 (o capitolo 13) la Jedi del titolo con cui Mando deve confrontarsi per sapere di più sull’origine del suo piccolo amico è Ashoka Tano, ex jedi allieva di Anakin che dopo aver rinnegato l’Ordine si è data alla macchia. La tenace rappresentante della razza togruta è comparsa nelle serie animate The Clone Wars, Rebels e The Forces of Destiny ed è la prima volta che la vediamo in carne ed ossa, per il cui ruolo è stata scritturata Rosario Dawson, con un look incredibilmente fedele alla controparte animata. Anche Ashoka avrà una serie tutta sua per Disney+ ma sicuramente ricomparirà nell’universo di Star Wars anche in antri frangenti perché il suo intervento, oltre che essere fondamentale al progredire di The Mandalorian è intrecciato a una miriade di eventi importanti della mitologia della saga.

Ultima guest star, in ordine cronologico, di questa seconda stagione è stato nientepopodimeno che Luke Skywalker, sempre interpretato da Mark Hamill ma ritoccato digitalmente per apparire più giovane (un effetto non del tutto riuscito, a dire il vero), che interviene nell’ultimo atto del magnifico capitolo 16 (episodio 8) per salvare il gruppo assediato dai Soldati Oscuri sulla nave di Moff Gideon e prendere con se il piccolo Grogu per addestralo a diventare un jedi, assieme al lui l’immancabile R2-D2.

Ma la seconda stagione di The Mandalorian è molto di più che una continua strizzata d’occhio alla fanbase più affezionata alla saga, è un’opera narrativamente matura. Il tema della genitorialità, anzi della paternità, già introdotto nella prima stagione raggiunge qui il completamento di un arco narrativo quando Mando si rende conto quanto sia importante per lui Grogu che non è più un “oggetto” da consegnare, un essere che si osserva con curiosità e divertimento, è un figlio adottivo a tutti gli effetti, una creatura che va difesa e salvaguardata perché parte della sfera famigliare che si è venuta a creare nel periodo di tempo in cui si ambienta la serie. E il legame si fa ancora più saldo se pensiamo che Mando è un orfano, così come lo è probabilmente Grogu, quindi due creature sole che hanno trovato completamente uno nell’altro.

Come è facile aspettarsi, il piccolo Grogu (a proposito, è Ashoka a rivelare a Mando e agli spettatori il nome di battesimo di Baby Yoda!) monopolizza buona parte dell’attenzione risultando ormai il volto iconico della serie, tanto per la tenerezza quanto per la simpatia fino a diventare un elemento comico molto efficace, come accade nel secondo episodio in cui ambisce inconsapevolmente ad essere uno sterminatore di specie a causa del suo appetito. Infatti, nel penultimo episodio (capitolo 15) la sua assenza dalla scena è stata la causa del punteggio più basso attribuito dal pubblico a questa avventura in (quasi) solitaria di Mando.

L’intelligenza di questa stagione sta poi nella perfetta gestione dei personaggi perché ad ogni nuovo ingresso è corrisposto l’adeguato approfondimento dei personaggi già noti che, in maniera molto furba, presentano tanti di quei punti da approfondire da fornire materiale a molte serie ed episodi a venire. Se Greef Karga (Carl Weathers, anche dietro la macchina da presa) compare in un solo episodio, Cara Dune (Gina Carano) si conferma un’ottima spalla per il protagonista mentre Moff Gideon (Giancarlo Esposito) ha il carisma e le fisique du role per dar vita a un villain convincente e probabilmente utile anche a sviluppi futuri nell’universo di Star Wars. Poi c’è Pedro Pascal nel ruolo di Din/Mando, qui più visibile in volto in confronto alla precedente stagione, che anche si conferma un ottimo acquisto per la scuderia di Lucasfilm dando corpo a un antieroe di quelli che ti rimangono nel cuore, un bad-ass-guy che sul finire della stagione riesce finalmente ad esprimere tutta la sua emotività, toccando le corde della commozione anche nello spettatore.

The Mandalorian ha ribadito, grazie alla stagione due, che Star Wars ha ancora tantissimo da raccontare ed è in grado di emozionare e coinvolgere più generazioni grazie a personaggi bellissimi e genuini. Questo è emerso nonostante la serie abbia creato da zero il buon 90% del materiale, pur ancorandosi a un contesto ben noto, ma lo ha fatto con il rispetto che questo universo merita e tornando alle sue origini, alle emozioni sincere, all’avventura old style e alle creature “di plastica” che hanno sempre quel fascino in più.

The Mandalorian è la nuova rinascita di Star Wars? Può darsi. Solo il tempo potrà dircelo, ma una cosa è certa: è una serie bellissima e capace di parlare al (suo) pubblico come nessun’altra era mai risuscita prima.

Roberto Giacomelli

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