The Prodigy – Il figlio del Male, la recensione

Miles Blume è un bambino prodigio. Lo è sempre stato. Ha iniziato a parlare quando era ancora in fasce e da quel momento ha dimostrato, anno dopo anno, di avere sempre una marcia in più rispetto ai suoi coetanei. Quando Miles compie otto anni, tuttavia, quelle doti particolari che sono state sempre oggetto di vanto per i genitori si trasformano in atteggiamenti sinistri e fortemente ambigui. Sarah Blume, la madre del bambino, inizia a pensare che qualcosa di soprannaturale stia crescendo all’interno di suo figlio. Quando entra in contatto con il dottor Jacobson ed apprende inquietanti teorie pronte a contemplare l’esistenza della reincarnazione, la donna inizia a covare raccapriccianti sospetti sulla vera identità del piccolo Miles

La società occidentale ha sempre attribuito connotati “preziosi” all’infanzia.

Sul bambino, così come sulla valenza della puerizia, sono stati fatti importantissimi studi umanistici e molti psicoanalisti di fama mondiale come Sigmund Freud o Carl Gustav Jung hanno più volte insistito sul valore dell’infante attribuendo, proprio a quest’ultimo, il ruolo di “chiave di volta” nella comprensione di alcuni concetti archetipici relativi alla razza umana.

Ma nella civiltà occidentale, al tempo stesso, il bambino si è sempre fatto carico di una “purezza” fuori dal comune – un essere non ancora imbruttito dalla società – così che lo scopo dell’adulto (non solo del genitore) deve necessariamente essere quello di provvedere alla sua tutela facendo si che quella purezza possa restare tale il più a lungo possibile.

Il bambino, dunque, come contenitore di valori e misteri ma anche come candida creatura che non è stata ancora corrotta dalle barbarie della società.

Considerando entrambe queste visioni, va da se che il cinema horror abbia a più riprese puntato il dito sui bambini eleggendoli ad imprevedibili sorgenti di terrore e pura malvagità.

Quello sui “bambini cattivi” è diventato nel tempo un vero e proprio sottogenere che ha portato negli anni alla realizzazione di alcune pellicole di spessore come i bellissimi Omen – Il Presagio, Baby Killer e The Brood – La covata malefica. A questi se ne aggiungono altri, ovviamente, di sicuro meno iconografici ma non per questo poco riusciti. Possiamo ricordare a tal proposito l’interessante L’innocenza del Diavolo, ma anche il sorprendente Orphan così come i meno incisivi Mickey o Milo.

Un elenco che potrebbe essere ancora molto lungo e al quale si aggiunge, oggi, The Prodigy – Il figlio del male.

A destare immediatamente un certo interesse ci pensa la firma del regista, Nicholas McCarthy, giovane cineasta che già si era fatto notare da pubblico e critica per aver diretto The Pact, una delle più originali e suggestive ghost story degli ultimi anni, e l’inquietante Oltre il male (Home). Una carriera ancora agli inizi, eppure McCarthy ha già dimostrato di avere le idee piuttosto chiare in fatto di horror riuscendo a far dialogare in modo interessante il cinema popolare con quello più strettamente autoriale; così come gli va riconosciuto il merito di essere riuscito – fino ad ora – ad approcciare in modo intelligente ed originale alcune storie potenzialmente simili a tante altre.

Anche con The Prodigy – Il figlio del male McCarthy prova a sorprendere lo spettatore e lo fa scegliendo il sottogenere “bambini cattivi” per parlare in realtà di altro, in modo specifico di reincarnazione.

Un tema delicato, quello della reincarnazione, da sempre utile ad esorcizzare la paura della morte ma in cui molte persone credono fermamente. C’è vita dopo la morte? O meglio ancora, cosa significa veramente morire? Al momento del trapasso si spegne sicuramente il corpo, ma l’anima dove va a finire? Ricorrendo alla fantasia, in The Prodigy Nicholas McCarthy prova a rispondere a tutti questi quesiti immaginando i meccanismi della reincarnazione e prendendo ad oggetto un serial-killer che viene ucciso proprio prima che possa compiere il suo ultimo efferato omicidio.

Una premessa divertente che ha il forte sapore di un b-movie degli anni ‘80 e che, per molteplici aspetti, ci ricorda anche l’incipit del cult di Tom Holland, La bambola assassina.

A conti fatti, The Prodigy è il film meno autoriale del regista e sin dall’incipit si evince la volontà di seguire il modello di tanto cinema commerciale. Un horror canonico, dunque, pronto a rigettare i tipici ritmi dilatati del regista così come quelle sinistre atmosfere create per sottrazione.

Pur riscontrando un particolare “legame” narrativo con il finale del suo secondo lungometraggio (il già citato Oltre il male), si intuisce immediatamente che McCarthy non si trova a suo agio con sceneggiature scritte da altri e così possiamo notare sin da subito un approccio alla materia decisamente poco ispirato.

Benché non originale, la tematica della reincarnazione poteva rappresentare sicuramente una valida variazione sul tema eppure The Prodigy non riesce mai a far realmente “suo” l’incipit che sta alla base del film, offrendo come risultato finale una pellicola dai tratti decisamente anonimi. Il film di McCarthy, infatti, non fa altro che adagiarsi continuamente su situazioni e trovate già viste e riviste almeno un milione di volte. Si “ruba” continuamente e a mani basse da altri film, alcuni più noti di altri, e persino i minuti finali sono ricalcati in modo pressoché identico su quelli di un’altra opera.

Questo continuo attingere ad altro porta lo spettatore (almeno quello che conosce a menadito il genere) ad un fastidioso senso di noia, inevitabile nel momento in cui tutto diventa paurosamente prevedibile. La causa non viene aiutata, inoltre, dalla discutibile scelta di far recitare Miles (interpretato dal poco convincente Jackson Robert Scott, il piccolo Georgie del nuovo adattamento cinematografico di IT) sempre con la stessa e ridicola espressione da bambino “malefico”. Una scelta davvero infelice che spesso ammortizza il pathos della scena suscitando indesiderati sorrisi. A controbilanciare l’interpretazione caricata di Scott, troviamo una brava e convincente Taylor Schilling (Orange is the New Black) chiamata a dare corpo a Sarah Blume, la madre di Miles. Nel ruolo dello psicologo Jacobson, invece, un sempre convincente Colm Feore.

Non tutto è da buttare, certo, ma siamo sicuramente lontani dal decretare The Prodigy – Il figlio del male un’operazione riuscita. Questo firmato da McCarthy è un horror che, paradossalmente, può farsi apprezzare di più da chi il genere lo conosce e lo ama poco.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
Il sottogenere “bambini cattivi” tenuto in vita con un film che si preoccupa di fornire una variazione sul tema.

Qualche trovata da b-movie anni ’80.

Un assemblaggio di cose, personaggi, situazioni e trovate già viste e riviste milioni di volte.

Il piccolo Jackson Robert Scott che recita con lo sguardo di Pennywise tutto il tempo.

 

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