The Quiet Girl, la recensione

Siamo in Irlanda, all’inizio degli anni ’80. Cáit è una bambina di nove anni estremamente introversa, trasandata e taciturna come poche. Vive in una famiglia di contadini e non ha un buon rapporto con le sorelle più grandi né con il padre, affettivamente distaccato e assente. Dovendo far fronte ad una nuova gravidanza, mentre bada ad un altro fratellino ancora molto piccolo, la madre di Cáit pensa bene di affidare la bambina alle cure di un’altra famiglia per il solo periodo estivo. Giusto il tempo di affrontare serenamente gli ultimi mesi di gestazione. Cáit viene così portata dai Kinsella, una coppia di anziani contadini che non hanno un figlio loro. La piccola viene così accolta in un ambiente pulito e sereno, molto diverso da quello in cui è cresciuta fino ad ora, e qui stringe un legame molto profondo con Eibhlín, donna dolce e premurosa, mentre fatica a trovare la giusta sintonia con Seán, uomo schivo ma gentile. I giorni passano, l’estate si fa sempre più calda, e la piccola Cáit inizia a fiorire come non le era mai accaduto prima. Impara la bellezza che risiede nelle piccole cose, negli usi e nelle abitudini quotidiane, per la prima volta si sente davvero amata da qualcuno. Ma l’estate presto finirà e Cáit dovrà tornare dalla sua famiglia biologica…

Che oggetto strano questo The Quiet Girl e che mistero il successo di questo piccolo film!

Tratto dal racconto breve Foster della scrittrice irlandese Claire Keegan, pubblicato nel 2009 sul New Yorker e trasformato successivamente in romanzo, e diretto da Colm Bairéad, regista con un background per lo più televisivo, The Quiet Girl è stato una piccola sorpresa durante l’ultima – e ancora in atto – corsa agli Oscar 2023.

Presentato in anteprima al Festival Internazionale del cinema del Berlino, dove il film ha ricevuto un Crystal Bear per il miglior film nella sezione Generation Kplus e ha ricevuto una menzione speciale dalla giuria dei bambini, The Quiet Girl  è riuscito con sorpresa ad entrare nella cinquina finale degli Academy Awards nella sezione miglior film internazionale (per l’Irlanda) riuscendo a scalzare rivali ben più prestigiosi e di peso come lo straordinario Bardo di Alejandro González Iñárritu o l’acclamato Decision to Leave di Park Chan-wook, ma sarebbe bene citare anche l’affascinante western antropologico Utama – La terra dimenticata di Alejandro Loayza Grisi.

Tutti film con un percorso festivaliero decisamente più allettante rispetto a quello fatto dal film di Bairéad e, diciamocelo apertamente e senza paura, tutti film palesemente più validi rispetto a questo The Quiet Girl che invece è riuscito ad accedere alla prestigiosa cinquina.

Ma ormai abbiamo smesso di applicarci nel cercare di capire il funzionamento di alcune dinamiche ed è evidente che certe scelte sono dettate da fattori (sconosciuti) che poco e niente hanno a che vedere con il reale valore artistico di un’opera.

Non fraintendiamoci, The Quiet Girl non è un brutto film e sarebbe decisamente disonesto provare a far credere il contrario. Eppure si presenta come un’opera dal sapore fortemente incompiuto.

Raccontando una vicenda che si ambienta nell’Irlanda dei primi anni Ottanta, Colm Bairéad coglie la palla al balzo per raccontarci un Paese che è sempre un po’ troppo assente dallo scenario cinematografico oppure, quando presente, finisce per cadere vittima di una visione stereotipata e caratterizzata solamente da suggestivi scenari da cartolina.

Colm Bairéad decide invece di andare maggiormente in profondità raccontandoci un’Irlanda che fugge dallo stereotipo visivo per mostrare la sua natura squisitamente normale. Nell’inseguire quest’inconsueta normalità, Bairéad pensa bene di far recitare tutto il film in gaelico (proprio per questa particolarità, per riuscire a cogliere la stranezza di certi suoni decisamente inconsueti per il cinema, si consiglia di vedere il film in lingua originale) e affonda le mani in una vicenda che si ambienta dall’inizio alla fine in un’umile cascina di campagna che sembra far di tutto per non inciampare nell’effetto “wow” che potrebbe scaturire da certi scenari.

Ma Bairéad si spinge anche oltre. Inseguendo quella che ormai è più una moda che una reale esigenza artistico/narrativa, Bairéad decide di fotografare tutto il suo film all’interno di un mascherino 4:3 utile ad evitare qualsiasi rischio di perdersi nei paesaggi naturali per stare, al contrario, addosso ai personaggi e al loro stato emotivo.

Attraverso l’intimo racconto della piccola Cáit (interpretata da una silenziosa ma convincete Sabina Cattaneo Della Volta), The Quiet Girl diventa occasione per aprire un interessante discorso concernente la povertà e di quanto questa, tanto ieri quanto oggi, riesce a spingere l’essere umano verso comportamenti tanto estremi quanto contraddittori l’un l’altro. Come nel caso della famiglia biologica di Cáit, che deve affidare a terzi i suoi figli poiché incapace di accudirli mentre se ne aspettano di nuovi. Un discorso interessante che fa scopa anche con la volontà del regista di parlarci di famiglia nel senso più ampio del termine, accendendo il focus su quello che può significare fare la famiglia e non semplicemente esserlo.

A tal proposito è interessante la contrapposizione tra famiglie che viene esplicitata in The Quiet Girl: due famiglie simili per estrazioni sociali ma diversissime per attitudine umana. Dunque, una famiglia biologica contro una famiglia adottiva, la prima divenuta anaffettiva a causa dell’eccessiva presenza di figli mentre la seconda, amorevole e premurosa, deve cercare nei figli degli altri la possibilità di esprimere il proprio affetto genitoriale poiché la vita ha riservato per loro altri piani. Quando si dice chi ha il pane non ha i denti e chi ha i denti non ha il pane.

Tante tematiche importanti, alcune di queste persino affascinanti se osservate sotto il profilo squisitamente umano, eppure The Quiet Girl riesce a lasciare a fine visione un amaro in bocca piuttosto accentuato. Un amaro che deriva, più che altro, dall’estrema superficialità con il quale Colm Bairéad avvicina tutta la vicenda.

Nei suoi 95’ minuti di durata, nonostante il ritmo dilatato che è frutto di una regia tanto statica quanto contemplativa e da un uso massiccio dei silenzi, The Quiet Girl non riesce ad andare a fondo su nessuna delle tematiche che aveva sottomano. Tutto è raccontato con spaventoso disinteresse e con un feroce – ma ingiustificato – distacco emotivo da situazioni e personaggi.

Non si prova mai una reale empatia verso la piccola Cáit, così come non si riesce mai davvero a toccare con mano l’amore della famiglia adottiva e il dramma che risiede nel loro passato. Quando fa il suo ingresso nella famiglia Kinsella, ovviamente, Cáit è spaventata e diffidente ma presto impara a fidarsi dei suoi genitori adottivi e ad imbastire con loro un rapporto di fiducia reciproca. Un arco narrativo che, pur nella sua classicità, non riesce mai davvero a venire fuori durante l’ora e mezza di durata. E lo stesso discorso può essere applicato alle dinamiche tra Cáit e la sua famiglia biologica, un rapporto aspro e distaccato che tuttavia non viene mai debitamente raccontato.

Il film non riesce mai a trascinare lo spettatore nei panni della piccola protagonista e, di conseguenza, non riesce mai a raccontare veramente l’amore della famiglia adottiva così come il disagio/astio della famiglia biologica.

Sembra che tutto accade solamente perché previsto dalla sceneggiatura e non come frutto del naturale filo narrativo ed emotivo. Durante la visione del film si è sempre in attesa di qualcosa che non arriva mai, di qualcosa che possa collegare in modo armonioso tutti i vari passaggi salienti previsti dal racconto. Insomma, sembra quasi che manchino dei passaggi fondamentali all’interno del film. Passaggi che sarebbero stati necessari a raccontare in modo più credibile l’arco emotivo della protagonista, così come quello dei personaggi secondari.

The Quiet Girl è perciò un film freddo, freddissimo. Un’opera che vorrebbe chiaramente emozionare (come dichiara il finale) ma che sembra non possedere mai i reali strumenti per farlo. Complice di questa narrazione anaffettiva anche una messa in scena che sembra sortire tutti gli effetti del background televisivo del regista.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Il film mette in scena un interessante discorso circa il concetto di famiglia.
  • La piccola Sabina Cattaneo Della Volta è una protagonista molto giusta.
  • Narrazione superficiale e frettolosa.
  • Incapacità ad entrare nel cuore della vicenda.
  • Una messa in scena più televisiva che cinematografica.
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