The Ward – Il reparto, la recensione

1966, Oregon. La giovane Kristen viene ritrovata dalla polizia in stato catatonico dopo aver appiccato il fuoco a una fattoria. Portata subito nel vicino ospedale psichiatrico, la ragazza viene imbottita di calmanti e viene rinchiusa nel Reparto 19, dove risiedono altre quattro giovani pazienti. Kristen non riesce a ricordare nulla del perché del suo internamento e dopo l’iniziale confusione e i tentativi di trattare con il personale del reparto per uscire da lì, Kristen fa amicizia con le altre pazienti, dalle quali apprende che c’è qualche cosa di inquietante che di notte si aggira tra i corridoi del reparto, qualcosa che vuole eliminarle una ad una.

È dal 2001 di Fantasmi da Marte che John Carpenter si teneva lontano dal cinema, nove anni passati tra tv (due bellissimi episodi della serie Masters of Horror) e progetti sfumati. Serviva un film semi indipendente come The Ward – Il reparto a dare concretezza a un nuovo progetto firmato dal regista di tanti capolavori come La Cosa e Fuga da New York, un progetto che va quasi contro corrente in un’epoca dominata da zombi e torture porn come lo è stata la prima decade del terzo millennio, un film capace di puntare tutto sull’atmosfera senza tralasciare però alcuni elementi caratteristici del cinema più moderno. In fin dei conti Carpenter è un regista classico, forse l’ultimo dei classici insieme a Clint Eastwood, e una storia di fantasmi ambientata negli anni ’60 non poteva che essergli congeniale. Eppure, c’è qualcosa che non ha funzionato tra Carpenter e The Ward, come se non ci si fosse creata chimica tra il regista e la sua ultima creatura perché The Ward, pur essendo un gran bel film, non possiede il tocco magico del regista.

The Ward

Già a partire dai suggestivi titoli di testa, The Ward vuole comunicarci qualche cosa, ci suggerisce e ci anticipa che ogni certezza è a rischio di infrangersi da un momento all’altro, proprio come le fragili condizioni psicologiche delle giovani protagoniste. The Ward comincia in maniera quasi ostica, erge un muro tra la protagonista e lo spettatore, azioni inspiegabili che vengono appunto non spiegate, anzi dimenticate. Kristen è sana di mente, si comporta proprio come si comporterebbe una persona sana accusata di pazzia, soprattutto se rapportata alle altre pazienti del Reparto. Eppure, c’è qualche cosa che non torna: perché Kristen è ricercata dalle autorità e appicca il fuoco a un’abitazione? Naturalmente ogni domanda avrà una risposta, ma per trovare chiarezza lo spettatore dovrà seguire un percorso insieme alla protagonista, immedesimarsi in lei con tutte le difficoltà che il caso richiede. Perché se tutto inizia nella follia poi prosegue nella paura, quella paura atavica che il cinema ha sempre cercato di catturare ogni qualvolta ha a che fare con fantasmi e affini.

The Ward

La location gioca a favore della storia e Carpenter sa come sfruttarla al meglio: il manicomio avvolto nei colori spenti – gli stessi colori che descrivono lo stato d’animo delle pazienti – e i suoi lugubri corridoi sono l’ambiente perfetto per sviluppare una ghost story. Le comparsate dello spettro sono tutte da effetto assicurato e lo stesso fantasma – realizzato con la solita maestria dal team di Berger e Nicotero – è diverso dal solito. L’intento dei realizzatori era di discostarsi il più possibile dal prototipo del fantasma orientale che in quegli anni ha monopolizzato le ghost story provenienti da ogni dove, e in effetti ci sono riusciti. Il fantasma di The Ward è un qualche cosa di più fisico, ha il volto putrefatto e la carne “in movimento”, come se il male volesse scappar fuori dall’involucro che lo contiene. Carpenter, memore dell’indimenticabile Halloween: La notte delle streghe, ad un certo punto imposta The Ward come uno slasher soprannaturale, dove le ragazze fungono da carne da macello per il killer-poltergeist, non trascurando anche una certa efferatezza nella messa in scena delle morti (con tanto di dettaglio sul pungolo per lobotomia infilato in un occhio!).

The Ward

Ma The Ward non è solo una ghost story, è un’opera ambigua e mutevole che nel voler essere “altro” trova la forza di percorrere diversi filoni del thriller/horror. Il gioco è divertente, riesce e viene condotto con abilità e maestria anche se la sceneggiatura di Michael e Shawn Rasmussen (artefici anche del recente Crawl – Intrappolati) ad un certo punto diventa quasi surreale nella forzata ricerca di un colpo di scena, tra l’altro ripreso in modo piuttosto spudorato da un bel thriller di qualche anno fa (di cui non vi svelo naturalmente il titolo).

Nel cast troviamo la discussa Amber Heard (Aquaman, The Stand), allora promettente stellina in ascesa, nel ruolo della protagonista, affiancata dalle giovani pazienti del Reparto 19 Lyndsy Fonseca (Kick-Ass), Danielle Panabaker (Venerdì 13), Mamie Gummer (Motel Woodstock), Laura Leigh (Gossip Girl) e Mika Boorem (Nella morsa del ragno).

The Ward

Bellissime e suggestive le musiche di Mark Kilian.

John Carpenter mette la sua esperienza a disposizione di una storia altrui, porta a termine il suo lavoro con l’eleganza e la professionalità che l’hanno sempre contraddistinto, ma si nota che The Ward è un film su commissione, poco o per nulla carpenteriano tanto nella storia quanto nello stile. Comunque siamo di fronte a un’opera di pregio, assolutamente imperfetto ma godibile e ben fatto.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Elegante e ricco di atmosfera.
  • Un bel lavoro sul look del mostro.
  • Nonostante si tratti di un lavoro impeccabile, la mano del Maestro si nota poco.
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