Tornare a vincere, la recensione

Dal 23 aprile 2020, su diverse piattaforme di streaming è disponibile Tornare a vincere (The Way Back), l’ultima fatica di Gavin O’Connor e Ben Affleck. Altra vittima cinematografica del coronavirus che ha trovato un percorso distributivo grazie alle piattaforme VOD. Il film aveva fatto in tempo ad esordire in sala a marzo, sia in patria che su alcuni mercati esteri, raccogliendo complessivamente 14 milioni e 700 mila dollari.

Tornare a vincere segna la seconda collaborazione tra O’Connor ed Affleck, a quattro anni di distanza da The Accountant, ultimo lungometraggio firmato dal regista che in questo lasso di tempo si è limitato a dirigere un episodio di Seven Seconds, mini-serie di cui è anche produttore esecutivo.

Tornare a vincere appartiene ad un genere completamente diverso in confronto a The Accountant, che era una sorta di “Rain Man da combattimento” e mescolava azione e colpi di scena tentando però di sensibilizzare lo spettatore sul tema dell’autismo e disturbi simili; d’altronde sia il regista che il suo protagonista hanno curriculum variegati che giustificano una sterzata così netta. Siamo nell’ambito del dramma puro, al centro una storia di riscatto personale veicolata dallo sport. Un canovaccio sicuramente già visto per un film che non ha la pretesa di apparire originale, quanto piuttosto di raccontare con garbo, realismo e sensibilità una vicenda umanamente dolorosa (che include momenti di commozione) senza cadere nel lacrimoso gratuito.

Tornare a vincere

Al centro c’è il personaggio di Jack Cunningham, interpretato da Ben Affleck. Al tempo del liceo, Jack era una brillante promessa della pallacanestro prima di decidere, improvvisamente, di mollare tutto rinunciando ad un brillante futuro. Il protagonista ci viene presentato direttamente ai giorni nostri, sappiamo poco del suo passato, il quadro attuale è chiaro fin da subito. Un lavoro umile ma onesto, un matrimonio fallito alle spalle, un rapporto conflittuale con la sorella (che ha sposato un tizio molto ricco), ma soprattutto una vita di solitudine, malinconia ed alcolismo. Un vortice di autodistruzione per un uomo schiacciato da un peso di cui non siamo a conoscenza.

Per quanto ne sappiamo, lo stato di Jack potrebbe essere dovuto ad una superficiale e banale mancanza di carattere, la solita testa che non sta sulle spalle e porta a vizi e fallimento. In pratica, il meccanismo narrativo di Tornare a vincere prova a far instaurare un’empatia col suo protagonista senza particolari condizionamenti, semplicemente facendo vivere lo spettatore con lui questa piccola opportunità di riscatto rappresentata dalla possibilità che gli viene offerta di allenare la sgangherata squadra del suo vecchio liceo.

Tornare a vincere

La vera causa dei suoi demoni interiori ci viene svelata solamente dopo un’ora abbondante, quando ormai il rapporto spettatore/protagonista è già instaurato; Jack ha un terribile trauma alle spalle, il più brutto dei lutti che possa capitare. L’espediente si rivela efficacissimo, venire a conoscenza di un particolare così importante in quel preciso momento serve a rinforzare la relazione col personaggio.

L’evidente volontà di O’Connor (e di Brad Ingelsby, che la sceneggiatura l’ha scritta) è quella di stimolare il pubblico a cercare in Jack delle sfumature positive ma senza influenzarlo o indirizzarlo nell’elaborazione di questa ricerca; svelare subito il lutto significava puntare ad una sintonia costruita su pietà e commiserazione, parlarne dopo più di metà film, invece, fornisce un senso a quelle sfumature, le rinvigorisce, stimola comprensione anziché semplice compassione. Jack è caduto in un baratro per una ragione più grande di lui, il buono che siamo riusciti a cogliere nel suo personaggio è assopito dal dolore e non da semplice immaturità. Un profilo delineato da particolari come l’affetto paterno nei confronti dei nipoti, il vecchio Doc che tutte le sere si prende la briga di riportarlo a casa sbronzo, il rapporto con l’ex moglie e, ovviamente, la gestione innanzitutto umana dei giovani membri della squadra di basket, che dal loro coach impareranno a lavorare sui propri limiti personali prima ancora che sportivi.

Tornare a vincere

Successivamente la caratterizzazione viene completata da alcuni cenni su un passato giovanile burrascoso (dovuto ad un rapporto freddo ed ostile col padre) che Jack aveva saputo superare grazie alla famiglia e che si era ripresentato nel momento in cui quel lutto aveva inevitabilmente sgretolato le sue certezze familiari.

In quest’ottica, la performance di Ben Affleck si rivela determinante. La sua è un’interpretazione che evita la platealità, moderata negli atteggiamenti, ma molto intensa dal punto di vista emotivo. Incentrata su una fisicità esplicita, un corpo imbolsito dagli eccessi, un uomo che fatica ad andare avanti, che si trascina, che fondamentalmente si limita a sopravvivere, suo malgrado aggiungerei. Fisicità che viene messa in luce dalla regia di O’Connor che si sofferma su questo suo incedere appesantito, come se il fardello che si porta dietro fosse concretamente tangibile. Una scelta del progetto, da parte di Affleck, che assume connotati chiaramente autobiografici, per questo motivo significativa ed anche coraggiosa per certi versi; similitudini non tanto nel trauma (ovviamente di portata differente), quanto nel tema dei problemi personali causa di depressione e dipendenze dalle quali è difficile disintossicarsi.

In apertura parlavo di garbo, che in effetti può essere considerata una parola chiave per identificare l’approccio di O’Connor. Della sfera emotiva del personaggio abbiamo appena detto, lo stesso discorso vale per la questione sportiva. Il regista non cerca l’impostazione spettacolare, il basket deve essere il veicolo del racconto ma non deve cannibalizzarlo. Ci si focalizza sui ragazzi, sul profilo caratteriale di ognuno di loro e, di conseguenza, sulla capacità di Jack di saper leggere quelle caratteristiche, mettere in pratica interventi mirati ad aiutare ognuno di loro. I momenti di gioco – girati con sobrio realismo – sono la naturale concretizzazione di tutto questo, non c’è estrema spettacolarizzazione ma enfatizzazione della componente emozionale – delusione prima e adrenalinica soddisfazione poi. Non manca il momento del traguardo raggiunto con successo, esaltato da un canestro all’ultimo secondo capace di tenerti col fiato sospeso.

Ed è proprio il modo in cui viene trattato questo successo (e relativo momento di gloria) che evidenzia un ulteriore punto a favore di Tornare a vincere, la sua impostazione realista, assennata, il tentativo di evitare una facile retorica. Altre volte, un film di questo tipo si sarebbe concluso proprio con quella vittoria sportiva capace di cancellare tutto con un magico colpo di spugna, all’insegna di un favolistico ‘andrà tutto bene’ prima dei titoli di coda. In questo caso, la positività e la gioia del trionfo sportivo sono il preludio ad una nuova caduta, dolorosa ma necessaria. Jack ci ricasca, ci sbatte la testa. Il dolore è troppo grande, non va via. Perché nella vita vera, un lutto di quelle proporzioni ti segna per sempre, fa parte di te, non si supera, al massimo ci si convive. Il passato non si può cambiare, si può solo decidere come andare avanti, trovare la forza nel ricordo.

Depressione e alcolismo non sono battaglie che si vincono dall’oggi al domani, serve tempo, serve forza.

Tornare a vincere

In sostanza, la storia si conclude con un terzo atto lucido, emotivo, realista e realistico. Un approccio sensibile ed anche rispettoso e solidale nei confronti di chi, nella vita di tutti i giorni, si trova ad affrontare sul serio situazioni così devastanti, evitando sapientemente di svilire certi dolori con una retorica da happy ending a buon mercato. Senza la presunzione di dire come si fa, quanto piuttosto di spronare a cercare strenuamente uno stimolo che permetta di non mollare e andare avanti.

Francesco Chello

PRO CONTRO
La performance emotivamente intensa di Ben Affleck.

L’approccio garbato, realista e sensibile evitando retorica e commiserazione.

Canovaccio riscatto/sport certamente non originale.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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