Tre volti, la recensione

Dopo averci mostrato il volto ordinario della sua città nel precedente Taxi Teheran, Jafar Panahi torna ad appassionarci con un nuovo lungometraggio ancora più evoluto e sofisticato. Il film in questione presenta non pochi tratti in comune con Taxi Teheran (a cui si farà spesso riferimento nel corso del testo per semplificare la spiegazione).

In Tre volti il confine tra finzione è realtà si assottiglia fino ad avvolgerci di una sensazione piacevolmente disorientante. Tutto sembra sfuggire a qualsiasi definizione univoca, perfino lo stesso materiale visivo, diviso tra il dramma e la commedia, tra il viaggio etnografico e la cronaca di una morte annunciata.

Il film si apre con una sequenza in stile Happy End (titolo diretto l’anno scorso da Michael Haneke). Ci viene infatti mostrato un video girato con un comunissimo smartphone in cui si vede una ragazza riprendere il proprio suicidio per impiccagione. Marzieh – questo è il nome della giovane – sogna infatti di diventare un’attrice proprio come il suo idolo Behnaz Jafari, interprete molto nota in terra persiana. È proprio quest’ultima la destinataria del video di Marzieh ed è a lei che la ragazza, prigioniera di un fratello autoritario e tradizionalista, si rivolge per implorare aiuto.

Rimasta turbata da quel macabro e disperato messaggio di incerta veridicità, Behnaz decide di mettersi sulle tracce di quella giovane sconosciuta. Ad accompagnarla nel suo viaggio è il regista Jafar Panahi, il quale improvvisa un set su un fuoristrada che circola senza permesso. I due giungeranno infine sulle montagne del Nord-Ovest iraniano (con tanto di riconoscibilissimo confine con la Turchia), dove ad accoglierli li aspetta un paesaggio rurale e spesso ostile, così diverso dalla caotica città da cui provengono.

Tre volti è quindi la risposta più ovvia e immediata a Taxi Teheran, meno folle e geniale ma con un approccio più ampio.  Qui il mosaico di storie (visto peraltro anche ne Il cerchio) trova infatti un valido rimpiazzo nel viaggio etnografico di cui il regista è testimone e co-protagonista. Questo dà a Panahi l’occasione di muovere la macchina da presa in spazi ben più estesi e paradossalmente con più controllo ma con meno forzature. In effetti potremmo tranquillamente affermare che Tre volti mostra quello che succede una volta usciti dal taxi, rappresenta quindi una seconda tappa nella personale battaglia del regista in cui la posta in palio è la sua stessa libertà di espressione.

Da autore perseguitato in patria, Panahi – che ha in passato ha documentato persino i suoi arresti domiciliari (This Is Not a Film) – non ha mai smesso di sprizzare creatività con idee sempre innovative e in barba a qualsiasi restrizione.

La sua condizione di “bandito” non sembra però essere riuscita nell’intento di farlo sentire un escluso: non per niente i suoi ultimi film sono caratterizzati da un forte spirito di solidarietà e non fa eccezione neppure Tre volti (l’attrice che va in cerca della ragazza oppressa, il regista che l’accompagna perché in fondo si identifica in questa storia di emancipazione femminile…). Ma la determinazione dell’autore si traduce soprattutto nel suo sguardo. Proprio questo costituisce uno degli aspetti più essenziali di Tre volti, con cui il regista ci regala alcune delle inquadrature più belle di questa annata cinematografica. Anzi, lo sguardo qui si raddoppia (o meglio si triplica) grazie al filo conduttore rappresentato dalla storia di Behnaz e Marzieh, accanto alla quale ci viene mostrato il rapporto spesso conflittuale che Panahi ha con i suoi connazionali (e che avevamo in parte già visto in Taxi Teheran).

Clamorosamente al Festival di Cannes 2018, la giuria presieduta da Cate Blanchett ha assegnato il Prix du scénario proprio a Tre volti a pari merito con Lazzaro felice di Alice Rohrwacher, due film che fanno della rappresentazione visiva il loro linguaggio più efficace (nel film di Panahi più pulito e agevole). In Tre volti però si alternano diverse scelte tonali e questo sicuramente va ad arricchire una trama in fondo esigua conferendogli una potenza apparente di cui riesce a beatificarsi. Ma l’onestà con cui il regista racconta i personaggi (e ovviamente sé stesso) cancella qualsiasi dubbio di vanagloria.

Claudio Rugiero

PRO CONTRO
  • Opera originalissima, emblema della libertà di espressione di un autore determinato e incapace di arrendersi di fronte alle limitazioni.
  • Un’apertura di altissimo livello: i primi venti minuti riescono persino ad oscurare tutto il resto del film.
  • Pur ritagliandosi un ruolo da testimone, è un film che tradisce tutta la poetica del suo autore, che trasuda del suo sguardo.
  •  Forse soltanto il fatto che ci sono pochi sviluppi interni a livello di racconto.
VN:R_N [1.9.22_1171]
Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
VN:F [1.9.22_1171]
Valutazione: 0 (da 0 voti)
Tre volti, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.