Triangle of Sadness, la recensione

Vincitore alla 75ª edizione del Festival del Cinema di Cannes e presentato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Best of 2022, Triangle of Sadness è il nuovo film del regista svedese Ruben Östlund, il primo in lingua inglese.

Già vincitore a Cannes nella sezione Un Certain Regard nel 2014 con Forza Maggiore e Palma d’Oro nel concorso principale nel 2017 con The Square, Östlund nel nuovo film dà vita a una satira di 142 minuti che prende in giro il capitalismo, divisa in tre atti in continuità tra loro ma ambientati in setting diversi, in cui il cui filo conduttore sembrano essere i temi del denaro, del lavoro e dei ruoli di potere e di genere.

Il primo capitolo ha come protagonisti Carl (Harris Dickinson) e Yaya (Charlbi Dean, morta dopo la produzione del film, il 29 agosto 2022), una coppia di modelli. Yaya guadagna molto più di Carl, anche grazie ai suoi numerosi follower sui social, a cui sembra dedicarsi costantemente con selfie, post e attenzioni. Carl, non completamente a suo agio con la situazione e frustato dalla sua condizione, sembra infastidito dall’approccio della fidanzata quando i due vanno a cena fuori. Vengono quindi affrontati stereotipi di genere e discussioni continue sui soldi, così ripetute da creare un incessante effetto comico.

Nella seconda parte, ambientata su uno yacht, ritroviamo i due protagonisti della prima parte (che hanno ottenuto i posti in omaggio grazie ai follower di Yaya) ma a loro si accompagna un cast corale che nel corso della storia quasi li oscura: l’organizzatrice degli eventi e capo equipaggio Paula (Vicki Berlin), l’imprenditore russo che “vende merda” Dimitrij (Zlatko Buric), un’anziana coppia di commercianti di armi, una donna tedesca che dopo un ictus continua a ripetere la sola frase “in den wolken” (tra le nuvole) in risposta a qualsiasi cosa, il capitano Thomas Smith (Woody Harrelson) perennemente ubriaco e nascosto nella sua cabina e molti altri.

Se all’inizio l’atmosfera sembra un sogno capitalista “instagrammabile”, piano piano le cose sembrano sfuggire di mano sempre più per finire in un caotico, divertentissimo e apocalittico finale in cui tutto sembra rovesciarsi e dall’eleganza della classe alta e ultra-ricca si arriva ad una totale degradazione della stessa.

Nella terza parte, dopo un ulteriore e folle cambio di scena, le parti sembrano invertirsi ancora di più, mostrando un mondo in cui chi occupava le posizioni di potere ora occupa i gradini più bassi e viceversa.

Il corpo è uno dei temi fondamentali del film, dalla bellezza iniziale dei due modelli protagonisti e del mondo della moda (da cui viene il titolo Triangle of Sadness, che indica in chirurgia estetica la zona tra gli occhi in cui si concentrano le rughe) fino ad arrivare, nella seconda parte, ad una degradazione quasi totale, un imbarbarimento escatologico che riporta la classe agiata nella sporcizia e nel volgare, così eccessivo da rendere il tutto grottesco, dissacrante e ridicolo.

Altro tema fondamentale è quello dei soldi, dei ruoli e dei rapporti di potere: fin dall’inizio, ancora prima dello yacht, le discussioni principali ruotano attorno ai soldi, al potere e agli stereotipi di genere. Via via che la narrazione va avanti questi elementi sembrano rovesciarsi, fino ad un totale sconvolgimento delle situazioni iniziali.

Tra imprenditori neoliberisti russi e americani comunisti che si sfidano in una alcolica gara di citazioni, nascenti società matriarcali, camerieri a cui è negata qualsiasi possibilità di dire di no agli ospiti, e altri mille momenti surreali, Triangle of Sadness è una discesa nella follia più totale in cui le contraddizioni del capitalismo sono affrontate in maniera dissacrante e feroce.

Sebbene la critica ai social network e al capitalismo fosse visibile anche nel film precedente di Ruben Östlund, l’acclamato The Square, Triangle of Sadness è un film molto diverso dal precedente. Se infatti The Square aveva uno stile più serio e più riflessivo, Triangle of Sadness è un film molto più esplicito nei suoi temi, divertentissimo e con un ritmo travolgente in cui i 142 minuti fluiscono come niente (anche se all’avvio della terza parte, dopo il climax della seconda, un po’ ci si sente stremati).

Come in ogni satira che si rispetti, Triangle of Sadness rovescia totalmente la realtà per riportarla al suo stato più comico e ridicolizzandola totalmente. Un film inaspettato per un regista come Ruben Östlund ma che allo stesso tempo si pone come un tassello importante e coerente nella sua filmografia.

Mario Monopoli

PRO CONTRO
  • Divertentissima satira sul capitalismo.
  • Dopo il climax del secondo atto ci si sente un po’ stremati e tematicamente seconda e terza parte sembrano simili.
  • Scena finale un po’ ambigua, non necessariamente un contro ma potrebbe non piacere.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Triangle of Sadness, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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