TSplusF20. Post Mortem, la recensione

Nell’800 in Europa era pratica comune fotografare le persone appena decedute, in pose del tutto naturali come se fossero ancora in vita, così da lasciare un ricordo sereno ai cari che avevano subito la perdita. Una pratica sicuramente macabra ma che aveva una forte valenza simbolica nell’esorcizzare la paura della morte e che i cinefili ricorderanno senz’altro per un preciso uso rivelatorio che queste foto post mortem avevano nella bellissima ghost story gotica The Others. Ora quello stesso elemento è alla base di Post Mortem, una ghost story di produzione ungherese che ha solcato gli schermi (virtuali) della 20^ edizione del Trieste Science + Fiction Festival, aggiudicandosi anche il premio (collaterale) di Rai4 e una menzione speciale nella sezione dedicata al Méliès d’argent.

Ungheria, inizio secolo. Sopravvissuto per miracolo alla Guerra Mondiale, Tomàs inizia l’attività di fotografo post mortem finché viene contattato dalla giovane Anna, che gli chiede di recarsi al suo villaggio perché c’è bisogno della sua opera. La popolazione del villaggio, infatti, è stata decimata dalla febbre spagnola e ogni casa ha uno o più cadaveri su cui piangere… ma i morti non sono i soli a dare impegno a Tòmas perché nel villaggio si aggirano strane presenze soprannaturali che sembrano manifestarsi, inizialmente, solo a lui a ella piccola Anna. Ben presto, però, queste anime senza riposo si mostrano ostili con tutti i paesani, attentando alla loro incolumità.

Post Mortem

Presentato come il primo film horror ungherese (ma è falso! La tradizione horror cinematografica ungherese risale all’epoca del muto, è del 1918, infatti, Alraune di Michael Curtiz and Edmund Fritz), Post Mortem offre subito un buon biglietto da visita innanzitutto per l’evidente caratura produttiva che sfoggia. Il film si apre con una scena bellica che fa eco al recente 1917 di Sam Mendes, con un soldato in forsennata fuga mentre attorno a lui ogni cosa esplode e i corpi dei suoi compagni saltano in aria a causa delle mine. Il mood è chiaro fin dall’inizio: spettacolarità e intrattenimento! E infatti il regista e sceneggiatore Péter Bergendy, che viene dal thriller d’ambientazione storica (L’esame) e dal crime (Trezor), punta molto sull’aspetto più eclatante e spettacolare dell’orrore… che, di fatto, diventa un inesorabile boomerang per il suo film!

Post Mortem

La dimensione folkloristica e sottilmente macabra, nonché quell’aria mortifera che si respira lungo tutta la durata, sono indubbiamente gli aspetti vincenti di Post Mortem, supportati da una bella atmosfera decadente che emerge dalle scenografie e dalla fotografia. Il villaggio avvolto dalla nebbia e dalla desolazione, circondato dal candore della neve e dai toni rugginosi delle foglie morte, uno scenario che va a incupirsi maggiormente nel contesto della pandemia che ha afflitto l’Europa nel 1919 e che risulta centrale nella vicenda raccontata. A questo si unisce l’aspetto magico/religioso del mondo contadino che vedeva la febbre “spagnola” come un presagio della dannazione eterna, una punizione divina, abilmente riflesso anche nella pratica della fotografia post mortem utile a sedimentare nell’immaginario l’accettazione della morte. In maniera molto interessante, questo aspetto folclorico si unisce attraverso un evidente ossimoro con la tecnologia nascente, in questo caso la fotografia, chiamata a trovare nella superstizione un alleato invece che un aspetto a cui contrapporsi.

Sagaci intuizioni di scrittura in Post Mortem che non trovano un adeguato sviluppo.

Post Mortem

Il film di Bergendy, infatti, ad un certo punto prende una piega molto mainstream che disorienta un po’ lo spettatore conquistato fino a quel momento da echi espressionisti molto suggestivi. Quella che sulla carta suona molto come una rilettura de Il mistero di Sleepy Hollow di Tim Burton, si carica di elementi horror ingenui, eccede in grottesco aumentando esponenzialmente la propensione all’effetto speciale sensazionalistico e il risultato è, spesso, di ridicolo invece che di paura.

Gli spettri che infestano il villaggio, sempre così chiaramente mostrati, la loro azione offensiva verso i paesani, che si traduce nel farli fluttuare e scaraventarli a destra e a manca, sono espedienti molto infantili e depotenziano quella sottile e crescente sensazione di terrore che si era costruita. Inoltre, la sceneggiatura si preoccupa di costruire un climax spettacolare ambientato addirittura in un’altra dimensione, ma dimentica di spiegarci chi sono gli spettri e cosa vogliono, lasciando un senso di confusione generale finale non proprio appagante. E la conclusione che lascia aperta una strada sembra preannunciare una saga, virando verso un’altra strada ancora e mostrando idee poco chiare nella delineazione generale del progetto.

Post Mortem

Dunque, Post Mortem scivola via velocemente – nonostante le quasi due ore di durata – tra alti e bassi che ci dicono quanto l’atmosfera sia riuscita al contrario di una scrittura incerta e una propensione bambinesca all’effetto speciale non richiesto. Un importante segnale da parte di un paese come l’Ungheria, non troppo noto per il cinema di genere, che fa comunque ben sperare per il futuro.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Un’atmosfera cupa e macabra che fa benissimo alla veste del film.
  • Gestisce in maniera suggestiva la contrapposizione tra progresso tecnologico e credenza popolare.
  • Un ultimo atto eccessivo e pacchiano.
  • Incertezza costante di toni ne fanno un oggetto dalla personalità poco definita.
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