Una domenica notte, la recensione

Antonio Colucci è un sognatore, esattamente come la maggior parte di coloro che in Italia intendono iniziare una carriera in campo cinematografico. Sin da piccolo è cresciuto con il sogno nel cassetto di affermarsi come regista di film dell’orrore e in parte, solo in parte, c’è riuscito, realizzando da giovane un piccolo film che però non ha visto nessuno, essendo uscito solamente in videocassetta per il mercato tedesco. Poi, per Antonio è stato il momento del matrimonio, del figlio, della separazione e la quotidianità lo ha poco a poco confinato nella sua cittadina di provincia, tenendolo lontano da quel suo sogno sempre più difficile da realizzare. Adesso Antonio ha 46 anni e ha deciso di riscattarsi nei confronti della vita. Determinato più che mai a fare il suo film, un horror a basso budget sugli zombie, è pronto davvero a tutto. Rimane solo un “piccolo” problema: trovare i fondi per fare il film.

C’è poco da dire e poco da fare, una delle più belle caratteristiche dei sogni è che il più delle volte rimangono tali. Se così non fosse, cosa mai potrebbe differenziarli dalla realtà?

Qualcuno dovrebbe spiegarlo ad Antonio Colucci, protagonista dell’opera prima del regista pugliese Giuseppe Marco Albano, che con le sue convinzioni e le sue aspirazioni si autonomina sindaco della città dei sognatori. Un uomo la cui unica vera passione è il cinema, che continua ad inseguire questo suo grandissimo amore perché probabilmente nella vita non sa fare altro e che, essendo nato in Italia oggi, è costretto davvero a convivere con questo sogno a vita.

Lo sappiamo tutti molto bene che l’Italia e la cultura non vanno più a braccetto da molti decenni e in questo Paese non è più contemplata l’idea che una professione artistica possa davvero essere tale. Per gli italiani l’arte è un hobby, non un lavoro. Perciò se hai l’ambizione di fare cinema, non puoi che essere un sognatore. Se poi l’ambizione diventa doppia e oltre al cinema vuoi fare film dell’orrore, allora è meglio rimboccarsi bene le coperte e continuare pure a sognare.

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In un momento così delicato per l’arte, in cui l’industrializzazione del cinema è sicuramente un’utopia e in cui sta svanendo la figura “classica” del produttore cinematografico, in favore di una “nuova razza di produttori” individuabili in semplici commercianti-benestanti che vedono il cinema come uno sfizio da togliersi, si sviluppa la vicenda di Colucci, un filmaker che ormai non è più così giovane, pronto ad inventarsele tutte pur di trovare due soldi per fare il suo film, anche andare a chiedere l’elemosina ad amici di vecchia data o persino alla sua ex moglie.

Il cinema che sente la necessità di raccontare il cinema non è certo cosa nuova, soprattutto tra i giovani filmaker emergenti che sembrano trovare nel racconto mètacinematografico una valvola di sfogo per criticare e denunciare un sistema così chiuso che davvero non offre nessuna possibilità ai giovani (ma non solo) di realizzarsi in determinati campi. Ecco, dunque, che la lunga odissea intrapresa dal protagonista del film può essere sicuramente vista come una sorta di racconto autobiografico del regista stesso che, in quanto giovane e alla sua opera prima, avrà sicuramente vissuto in prima persona molti aneddoti inscenati ironicamente nel film.

Questa voglia di voler raccontare le mille difficoltà, a volte davvero grottesche, a cui va incontro chi vuole fare cinema, rappresenta il punto cardine del film ma al tempo stesso il limite maggiore della vicenda, dal momento che va a indirizzarla principalmente a quella piccola nicchia che, in un modo o nell’altro, vive e conosce le dinamiche che risiedono dietro questa vita difficile.

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Esordio nel lungometraggio di Giuseppe Marco Albano, un giovanissimo regista pugliese che in precedenza aveva saputo farsi notare con i cortometraggi pluripremiati Il cappellino o Stand by me (quest’ultimo vincitore del Nastro d’Argento nel 2012), Una domenica notte soffre di molti difetti comuni a tante opere prime, in particolar modo uno stile registico ancora un po’ acerbo e qualche lungaggine di troppo che finisce solo per appesantire la narrazione. La sceneggiatura del film, scritta da Antonio Andrisani (anche protagonista del film) a quattro mani con il regista, risulta ricca di momenti brillanti capaci di strappare allo spettatore più di qualche sorriso, ma ciò è stato reso possibile anche dalla presenza di un ottimo cast che annovera, oltre il già citato e bravo Andrisani nel ruolo di Antonio Colucci, la partecipazione di professionisti del settore come Ernesto Mahieux, Claudia Zanella, Pietro De Silva, Francesca Faiella e Adolfo Margotta che si rende protagonista dei momenti più divertenti del film.

Nota dolente per la fotografia firmata da Francesco Di Pierro che appare decisamente troppo spenta e grigia in una commedia che avrebbe senz’altro guadagnato con colori più vivi e accesi. Molto buono, invece, l’utilizzo delle musiche tra cui va segnalato il bel brano Una domenica notte di Brunori Sas.

Sicuramente Giuseppe Marco Albano ha ancora molta strada davanti a se, visto l’ampio margine di miglioramento, ma per essere un’opera prima, Una domenica notte si difende piuttosto bene.

Giuliano Giacomelli

Pro Contro
  • Giuseppe Marco Albano realizza una commedia che riesce a strappare più di qualche sorriso.
  • Ottimo il cast.
  • Bella colonna sonora.
  • La visione è appesantita da qualche lungaggine.
  • Uno stile registico ancora un po’acerbo.
  • La fotografia grigiastra non riesce a cogliere lo spirito del film.
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