Una vita spericolata, la recensione

Rossi è un trentenne che nella vita ha concluso ben poche cose. Gestisce un’officina che va a rotoli, non ha una famiglia su cui contare e nemmeno una fidanzata che possa supportarlo nelle scelte della vita. Ha solo BB, il suo migliore amico, ex campione di rally e adesso fancazzista. Sommerso dai debiti, Rossi si reca in banca per implorare un prestito e invece, a seguito di una sequela di bizzarri fraintendimenti, si ritroverà – senza volerlo – a rapinare la banca e fuggire a bordo di una macchina rubata con il suo amico e una ragazza (un’attricetta finita in disgrazia) presa in ostaggio durante la fuga. Diretti in Puglia, inseguiti da un improbabile commissario di polizia, i due fuggiaschi non sanno che il denaro “rubato per sbaglio” non apparteneva alla banca ma a un manipolo di brutti ceffi disposti a tutto pur di riappropriarsi della refurtiva.

Chissà se nel 1983, quando presentava il suo grande successo “Vita spericolata”, Vasco Rossi aveva immaginato proprio questo tipo di spericolatezza? Una corsa contro il tempo dalla Val di Susa piemontese alla Puglia (ovviamente! E dove, altrimenti?!) fatta di inseguimenti, sparatorie, bottini rubati, spargimenti di sangue e love story a tre in cui non esistono gelosie di nessun tipo. La vita spericolata secondo Marco Ponti, che si ispira alla canzone di Vasco pur non utilizzandola nel film, è esattamente questa e quello che ne viene fuori è un film di rara bruttezza, una commedia pulp per nulla ispirata che non funziona (ma neanche un po’) né come commedia né come film di criminali.

Marco Ponti, che si è fatto conoscere nel 2001 con Santa Maratona – commedia che qualcuno ha salutato come “generazionale” – e che in tempi più recenti ha portato al cinema le due commedie sentimentali Io che amo solo te e La cena di Natale, tenta una nuova strada di commedia e così, esattamente come tutti quelli che provano a fare i sovversivi senza però esserlo, si avventura in una commedia-action tanto fiacca quanto vecchia nell’idea e nella messa in scena.

Tutto è sbagliato. Ma proprio tutto. A partire proprio dalla scelta del cast che comprende un trio di attori giovani e belli che non hanno la verve giusta per questo tipo di film né le fisique-du-role. Lorenzo Richelmy ed Eugenio Franceschini, che nel film sono rispettivamente Rossi e BB, sono impacciati in tutte le scene “d’azione” così come palesemente a disagio nei momenti comici, mentre Matilda De Angelis, che dopo l’esordio folgorante con Veloce come il vento ha dimostrato un talento nel non saper scegliere i film, è davvero poco credibile nei panni dell’attrice-ex Miss Italia ormai sulla strada del tramonto. Se il casting svolto per l’individuazione dei volti protagonisti mette sul tavolo delle scelte poco felici, non è troppo d’aiuto il cast di supporto che prevede – tra gli altri – un fastidioso Massimiliano Gallo che gigioneggia tutto il tempo e lo spaesato Gigio Alberti che sembra costantemente confuso sulla tipologia del film che è chiamato ad interpretare. Ma in fin dei conti, come gli si può dare torto?

Marco Ponti, che oltre a dirigere il film ha anche il merito del soggetto e della sceneggiatura, con Una vita spericolata si rende vulnerabile e palesa una visione di cinema assolutamente antiquata ed ingenua. Ed ecco così che l’ultima fatica di Ponti appare goffa in ogni sua sfumatura, ma la goffaggine inscenata non è di quelle che ti porta a provare simpatia per il prodotto. No, assolutamente. Perché Una vita spericolata si rivolge allo spettatore anche con quella presunzione tipica di chi, sotto-sotto, ha la convinzione di realizzare davvero un prodotto figo. O per meglio dire cool, che fa ancora più figo.

Ed ecco, allora, il manipolo di “eroi” in fuga stile Bonnie e Clyde (solo con due Clyde e una Bonnie), un commissario della polizia sopra le righe e sopra la legge, momenti di violenza mai stata così gratuita e fuori luogo, una timidissima scena di sesso a tre altrettanto gratuita, un montaggio che ogni tanto – solo quando si ricorda – prova a strizzare l’occhio a Guy Ritchie, imbarazzanti citazioni al cinema western e almeno un paio di inseguimenti in auto che ci fanno rimpiangere quelli “velocizzati” tra furfanti e poliziotti che si vedevano negli anni settanta nei bei polizi(ott)eschi nostrani. A tutto questo – che messa così potrebbe anche far pensare ad un trashone divertente e divertito ma vi assicuro che non è così – si aggiunge una sottotrama da thriller che ha lo spessore di una barzelletta e che coinvolge la cattivissima Michela Cescon, temuto boss della malavita piemontese, e le sue due guardie del corpo – chiamate fuori da ogni logica Rambo e Rambo Due La Vendetta – che curiosamente sono due cattivoni provenienti dalle borgate di Roma e interpretati da Mirko Frezza e Alessandro Bernardini. Cliché su cliché.

Tutto questo poteva portare almeno ad un film brutto ma utile ad intrattenere. Una vita spericolata, invece, è un film dal ritmo completamente sbagliato. Incapace di regalare risate o di trasmettere adrenalina, il film di Ponti finisce presto per annoiare anche a causa di una sceneggiatura così dilettantesca che, spesso, affonda nel becero nonsense o sembra smarrire il focus principale aprendo inutili e ridondanti parentesi destinate a non essere mai chiuse.

Insomma, triste a dirlo, ma se il cinema “alternativo” italiano deve essere Una vita spericolata, allora ben venga Nanni Moretti. Fortunatamente però, per noi e per il Cinema italiano, negli ultimissimi anni le cose stanno cambiando e il “genere” non ha bisogno di prodotti ibridi e sbiaditi come questo di Marco Ponti.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
Con tutta la buona volontà, nessuno. Di conseguenza, tutti.
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