Uncharted, la recensione

Correva l’anno 2007 – fine del 2007, per la precisione – e su Play Station 3 esordiva un titolo molto atteso che nei mesi precedenti aveva caricato d’hype i videogiocatori, soprattutto per una grafica davvero impressionante. Si trattava di Uncharted: Drake’s Fortune, action avventuroso in terza persona sviluppato da Naughty Dog… si, proprio lo Studio di Crash Bandicoot e Jak and Daxter! Nel momento in cui cominciavano a fioccare recensioni entusiaste su siti e riviste specializzate, si realizzava che il mondo dei videogiochi stava cambiando perché Uncharted: Drake’s Fortune non era sono un videogame d’avventura dal motore grafico potentissimo e dall’elevata giocabilità, ma anche un nuovo punto saldo nel genere avventuroso tanto da ridefinire perfino l’approccio al da lì imminente rilancio di Tomb Raider.

Ma un dato era sotto gli occhi di tutti fin da subito: Uncharted: Drake’s Fortune e i suoi tre seguiti avevano un fortissimo impianto cinematografico e delle sceneggiature già scritte, perfette per diventare film d’azione. Un destino segnato, dal momento che Sony ha opzionato Uncharted per farlo diventare un film già nel 2008 e da allora il processo di adattamento ha avuto un iter a dir poco complesso, dal momento che si sono succeduti ben sei registi – tra cui David O. Russell de Il lato positivo e Shawn Levy di Real Steel – prima che Ruben Fleischer (Benvenuti a Zombieland, Venom) fosse scelto nel 2019 per dirigere il film. Allo stesso modo, il ruolo di Nathan Drake è passato dalle mani di Mark Wahlberg (che è rimasto comunque nel cast) a quelle di Tom Holland, con l’intento di creare una origin story con il protagonista ventenne.

Insomma, prima di arrivare nelle sale, il 17 febbraio 2022, dopo le complicazioni produttive date dalla pandemia, Uncharted ha avuto una storia molto ricca che ha portato a un godibilissimo film d’azione che rimane incredibilmente (e giustamente) fedele allo spirito del videogame pur non ponendosi come adattamento diretto di alcun capitolo della saga.

Il giovane Nathan Drake, orfano di entrambi i genitori e cresciuto in orfanotrofio insieme allo scapestrato fratello Sam, lavora come barman e arrotonda dedicandosi a ingegnosi furtarelli. Una sera, il ragazzo viene colto in flagrante da Victor Sullivan, detto Sully, un collezionista d’arte e abile ladro a sua volta che vede in Nathan la persona giusta che possa aiutarlo a portare a segno un importante colpo. I due, infatti, devono intrufolarsi in una casa d’aste e rubare un crocefisso appartenuto a Ferdinando Magellano che, secondo la leggenda, dovrebbe rappresentare la chiave per trovare l’immenso tesoro raccolto dall’esploratore e nascosto dalla sua ciurma. Ma il nobile collezionista d’arte Santiago Moncada è fortemente intenzionato ad aggiudicarsi all’asta il crocefisso perché, oltre ad essere a conoscenza del presunto tesoro, è un lontano discendente della famiglia che finanziò il viaggio di Magellano, quindi legittimo proprietario di quelle fortune.

Stati Uniti, Spagna, Filippine. Il viaggio di Nathan Drake e Sully si sviluppa in tre zone geografiche differenti che scandiscono i tre atti di cui è composta la sceneggiatura. Rafe Judkins, Art Marcum e Matt Holloway hanno messo insieme uno script perfettamente in linea con il materiale narrativo di partenza, quello dei videogame, omaggiando il lavoro di Naughty Dog in più momenti e pescando alcuni momenti iconici e personaggi topici dai quattro capitoli del franchise videoludico: da Nathan e Sam ragazzini in orfanotrofio alla rocambolesca sequenza nella casa d’aste, fino al momento d’azione sull’aereo, una delle sequenze più amate e spettacolari del videogioco (precisamente da Uncharted 3: L’inganno di Drake) che diventa anche la scena madre del film, visto il peso che le viene dato fin dall’incipit.

Se i fan dei videogiochi, quindi, possono ritenersi soddisfatti, tutti gli altri che sono a digiuno di videogame si troveranno dinnanzi a un solido action avventuroso che punta molto sul temperamento brillante del protagonista, un Nathan Drake giovane, scavezzacollo e dalla battuta facile che trova in Sully un complice e mentore perfettamente alla sua portata. Il rapporto tra i due personaggi (il ruolo di Sully è molto più centrale nel film che nei videogiochi) è importantissimo nel film di Fleischer e l’abbassamento dell’età del protagonista fa si che si possa venire a creare un rapporto quasi padre/figlio che aiuta la trama a risolvere molti impasse narrativi. È importante, infatti, fin dai primi minuti il tema della fiducia, del credere nella solidarietà, che può essere fraterna o tra pari. Da qui Uncharted impianta il frequente conflitto tra personaggi che sembrano sempre e comunque anteporre il denaro al rapporto umano, come se si trattasse di un limite invalicabile che deve essere affrontato e superato. Non da meno, il tema della famiglia trova un basilare intreccio nel legame tra fratelli che muove l’intera trama del film, una mancanza nella vita di Nathan che cerca di colmare in ogni modo rincorrendo il fantasma di un fratello le cui sorti sono appese a un filo fino all’ultimo.

Al di là delle scelte tematiche, il film di Uncharted incorre il rischio di non raccontare qualcosa di realmente nuovo ancorandosi a un filone, quello action/avventuroso, molto praticato da Hollywood fin dall’epoca classica e ricodificato negli anni ’80 grazie alla saga di Indiana Jones. In fin dei conti, gli stessi videogame di Uncharted si ispiravano narrativamente a Indiana Jones, così come aveva fatto anche Tomb Raider, e la stessa Lara Croft è approdata ben tre volte al cinema strizzando l’occhio proprio ai capolavori di Spielberg. C’è, quindi, tutto un gioco di richiami multimediali che finisce per avere il sapore del déjà-vu, tra cacce al tesoro (e la scena nei sotterranei di Barcellona ricorda anche Il mistero dei templari) e scene d’azione elaboratissime, che tendono a spingere Uncharted un po’ nell’anonimato cinematografico.

Quindi il vero valore aggiunto di un film come Uncharted è proprio il suo legame a un pregresso videoludico, il fatto che traspone benissimo un gioco che di per se, narrativamente, è derivativo.

Per il resto, ci troviamo tra le mani un gran bel cast che può contare sulla professionalità di Mark Wahlberg e sul carisma di Tom Holland che risulta una scelta superiore alle aspettative per il ruolo del giovane Nathan Drake. Antonio Banderas è un villain un po’ sottotono e il ruolo della leonessa lo fa Tati Gabrielle (la ricordiamo per le serie Netflix Le terrificanti avventure di Sabrina e You) nel ruolo della spietata Braddock, una action-woman che lascia davvero il segno. Sophia Ali di Grey’s Anatomy è Chloe Frazer, ben nota ai videogiocatori (ha avuto anche uno spin-off tutto suo!), che aggiunge un importante tassello al team dei “buoni” ma forse non è utilizzata al pieno delle sue potenzialità.

Da menzionare assolutamente Steve Waddington che interpreta il bizzarro scagnozzo di Moncada dal linguaggio incomprensibilmente forbito.

Insomma, Uncharted è un film riuscito? Diciamo che è più riuscita come trasposizione cinematografica di un videogioco che come film a se stante. Incarna l’anima del prodotto originario e tutta la sua energia, ma è anche un film derivativo e meno entusiasmante di quel che sarebbe potuto essere. Se sarà premiato al botteghino, un sequel è praticamente già assicurato e, a tal proposito, non alzatevi subito alla fine del film perché tra i titoli di coda c’è nascosta una succulenta scena bonus.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Il cast funziona e Tom Holland, contro ogni iniziale aspettativa, è un Nathan Drake riuscito.
  • È un’ottima trasposizione da videogioco.
  • Azione imponente con almeno due scene madri davvero d’impatto.
  • Se consideriamo la portata narrativa cinematografica, è un film inevitabilmente derivativo.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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