Ti guardo, la recensione

Il Leone d’Oro della 72^ Mostra del Cinema di Venezia va, contro ogni previsione, al film venezuelano Desde Allà, diretto dall’esordiente Lorenzo Vigas. Protagonista della pellicola, ambientata a Caracas, è Armando (Alfredo Castro), ombroso signore di mezza età che offre denaro a giovanotti per osservarli nudi e di spalle mentre si masturba. Elder (Luis Silva), ragazzino sbandato e violento, è apparentemente una fra le tante vittime di questa perversione, eppure l’incontro/scontro fra i due cambierà la vita di entrambi. Armando sviluppa una sorta di ossessione per il ragazzo che, dapprima, gli sta accanto spinto dall’interesse. Ma la condivisione di un passato doloroso ribalterà la situazione, sfociando in estreme e drammatiche conseguenze.

La tematica centrale del lungometraggio di Vigas è, come si evince dalla sinossi, l’impossibilità di stabilire un contatto emotivo con il prossimo. Armando non tocca i giovani che adesca; si limita a guardarli ‘da lontano’, come da titolo, senza mai stabilire una relazione di qualunque genere con nessuno di loro. Elder è il primo a rompere questa corazza. Lo fa suo malgrado, con una rabbiosa aggressione, che spezza all’improvviso l’abisso tra Armando e il resto del mondo. Il misterioso uomo, solitario per scelta, improvvisamente prova il desiderio di connettersi con qualcuno. Prevedibilmente, attraverso lo scambio interpersonale tra i protagonisti scopriremo le radici profonde di tale atrofia sentimentale, le quali, si è già accennato, affondano in un travagliato rapporto paterno.

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L’intreccio tra i due, dunque, da morboso e deviato, si trasforma gradualmente in un’insolita dinamica padre-figlio, mitigando per un po’ l’urgente bisogno reciproco di autentici punti di riferimento. Il film si fa pertanto carico di una linea narrativa ingente e gravida di sfumature, che tuttavia non riesce a indagare con adeguata efficacia. L’emozione e il coinvolgimento sono sentimenti che lo spettatore attenderà invano, crogiolandosi nelle infinite e prolisse sequenze che compongono lo statico inno all’incompiutezza che è Desde allà. Malgrado il proposito di approfondire le complessità delle conseguenze di un trauma psicologico, infatti, lo sviluppo piatto e presumibile vanifica clamorosamente ogni velleità autoriale.

La carne al fuoco è molta, ma resta sospesa in un noioso e apatico limbo. L’intima metamorfosi di Elder e il progressivo sgretolarsi delle sue resistenze; le aporie della vita in una città pericolosa e tormentata come Caracas; la diversa estrazione sociale dei protagonisti… spunti potenzialmente validi, nonché plausibili veicoli di tensione o commozione che, piuttosto, lasciano freddini. Non c’è ombra di empatia nei confronti di questo anomalo legame che sboccia, s’inverte e degenera in un colpo di scena finale che probabilmente sorprende, ma di certo non scuote.

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Castro e Silva, i due attori principali, salvano solo in parte, con le loro convincenti performance, una diegesi circolare che gira tendenzialmente a vuoto. Luis Silva, giovanissimo esordiente, racconta il labile percorso di Elder, segnato da uno scomodo dualismo, attraverso eloquenti sguardi, pesanti silenzi e istintivi slanci. La repressione di Armando, sotto il giogo di una maschera che, a conti fatti, sarebbe meglio non cadesse, è resa altrettanto bene dalla statica e pacata fisicità del suo interprete. Peccato che non corrisponda altrettanta coinvolgente accuratezza nella realizzazione della pellicola, priva di ritmo e fiacca nell’enunciazione dei contenuti.

Anche l’omofobia consustanziale alla società è un nodo che viene accennato di passaggio, senza grinta. In conclusione, spiace scriverlo, ma Desde allà non è molto più che un calderone, mescolato con insistente e inesorabile flemma, di sentimenti, problematiche e complesse dinamiche che si raggrumano l’una sull’altra. Ma si sa, i verdetti delle giurie festivaliere sono tanto imperscrutabili quanto insindacabili e noi, umili firme del web, a questi non possiamo che attenerci col capo chino.
Resta però la certezza che Desde allà, presunto apologo sulla dicotomia dell’amore, mancata parabola di redenzione e indolente coacervo di cliché, è il film che speriamo la distribuzione italiana guardi solo, appunto, ‘da lontano’.

Chiara Carnà

PRO CONTRO
  • I due bravi protagonisti.

 

  • Malgrado le premesse gravide di validi spunti, il film si riduce a un fiacco, prevedibile e inesorabile girare a vuoto.

 

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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: +8 (da 8 voti)
Ti guardo, la recensione, 5.0 out of 10 based on 1 rating

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