Il più grande sogno, la recensione

La Mostra Internazionale d’arte Cinematografica di Venezia ha da sempre rappresentato anche un territorio per nuove proposte ed esordienti che, almeno nelle intenzioni, dovrebbero apportare una ventata di novità, idee fresche sia dal punto di vista narrativo che stilistico. Ma non sempre è così, purtroppo, e in alcuni casi il nuovo che avanza è ancora più vecchio di chi lo precedeva.

È questo il caso del giovane regista Michele Vannucci che con la sua opera prima, intitolata Il più grande sogno, propone un lavoro nel complesso mediocre, inconcludente e popolato da personaggi già visti e rivisti, protagonisti oltretutto di una storia debole e poco appassionante.

Il 39enne Mirko è appena uscito di prigione e il suo unico pensiero è quello di ricostruire una nuova vita e creare una nuova immagine di sé lontana dal mondo del crimine. Mentre tenta di riallacciare il rapporto con la compagnia Vittoria e le due figlie Michelle e Crystel, il destino gli offre una ghiotta occasione di svolta: una candidatura a presidente del comitato di quartiere, una classica borgata romana degradata e malfamata. Affiancato dal suo amico storico Boccione e la giovane e motivata Paola, Mirko avvia un progetto di riqualificazione che tuttavia conosce tanti ostacoli, primo fra tutti il pericolo di ricaduti nei vecchi giri illeciti.

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Soltanto un anno fa il pubblico veneziano tributava un’enorme ovazione al compianto Claudio Caligari e al suo stupendo Non essere cattivo. Ora, a distanza di così poco tempo, lo stesso pubblico si ritrova un film che ne ricalca le atmosfere, la voglia di raccontare storie di periferie e di rivincita nei confronti di un destino ormai segnato. L’unico grande problema, però, è che Vannucci non possiede la stessa carica narrativa del suo modello di riferimento e viene fuori una pellicola inutile e appesantita dalla tendenza ad allungare il brodo: un’ora e mezza di film di cui almeno la metà risulta evitabile e poco funzionale ai fini della trama.

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Un’ulteriore aggravante è rappresentata dallo stile registico molto vicino a quello documentaristico che se in alcuni punti risulta efficace per offrire un affresco del contesto difficile e disperato nel quale si muovono i protagonisti, in altri però non fa altro che generare confusione per via di un’ostinatezza ai limite del fastidioso nell’utilizzo del primo piano.

Una storia di illusioni e voglia di riscatto in cui ad emergere con grande prepotenza sono le ottime prestazioni offerte dai bravissimi Mirko Frezza, autentico mattatore della scena anche grazie al suo aspetto che buca lo schermo, Alessandro Borghi e Ivana Lotito, tutti perfetti nel calarsi nel clima del film.

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Vannucci, in conclusione, mette in mostra qualche spunto interessante dal punto di vista tecnico, ma sul fronte della scrittura il lavoro da fare sembra essere ancora lungo.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Il cast di attori bravissimi e aderenti allo spirito del film.
  • Una storia frammentaria e poco interessante.
  • Stile registico solo a tratti funzionale al racconto.
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Valutazione: 4.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Il più grande sogno, la recensione, 4.0 out of 10 based on 1 rating

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