Venezia 74. First Reformed, la recensione

Una lunga, lunghissima carrellata iniziale ci porta in quella provincia americana che sempre più spesso compare nei film, popolata di persone semplici, comuni perseguitate dei propri personali demoni.

Non fa eccezione il pastore Toller, un uomo di fede dal passato travagliato e doloroso, segregato in una piccola chiesetta bianca, una reliquia di 250 anni in cui serve messa per i pochissimi fedeli che ancora occupano i suoi banchi. Fra questi ci sono Mary e Michael, una giovanissima coppia.

La vita di Toller scorre in una routine popolata da piccoli gesti meccanici, insofferenti visite guidate a quel piccolo gioiello coloniale che è la sua chiesa, bottiglie vuote che si accumulano nella spazzatura e un male che sembra acuirsi di giorno in giorno. Questo fino a quando Mary lo ferma alla fine di una funzione per chiedere il suo aiuto. È preoccupata per il marito Michael, un attivista per i diritti dell’ambiente da poco uscito di prigione, che vorrebbe farle interrompere la gravidanza.

Inizia a questo punto uno strettissimo rapporto fra Toller e i coniugi. Michael, avvolto nelle spire della sua depressione per un mondo destinato a bruciare per mano dell’umanità, non vuole mettere in vita un bambino per lasciargli in eredità un pianeta marcio.

Michael rappresenta una sfida per Toller, un’anomalia in un’esistenza altrimenti vuota e priva di significato: le loro conversazioni diventano per il pastore un modo per tornare alla vita, quella vita popolata di altri esseri umani che hanno bisogno di aiuto. Toller è di nuovo utile, ha di nuovo uno scopo.

Ben presto la relazione con i due coniugi diventerà tragicamente più stretta legando inevitabilmente il destino del pastore a quello dei suoi fedeli, specialmente Mary.

Paul Schrader, l’acclamatissimo sceneggiatore di Taxi Driver, approda alla 74^ Mostra del Cinema di Venezia con un film profondo e inaspettato. Il delicato tema religioso si sposa con l’ancor più delicato tema del fondamentalismo dimostrando la grande intelligenza di non incorrere nei dettami a cui troppo spesso il cinema, ma anche i telegiornali, ci hanno abituato per questi due termini accostati. È un film che parla di fede nel significato più atavico di questa parola, mostrando un uomo spezzato che ritorna a vivere davvero solo quando si fa carico di una missione. Si vota a un bene superiore e in questo modo ritrova se stesso.

Il pastore Toller viene portato sullo schermo da uno straordinario Ethan Hawke che si conferma, come se ne avessimo avuto bisogno, uno degli attori più talentuosi della sua generazione. Un personaggio difficile, modellato con profondità attraverso tutte le sue trasformazioni, un personaggio con cui risulta facile empatizzare anche nei suoi momenti più bui proprio perché è così visibile dietro le sue azioni la sua immensa umanità. Un antieroe che si ritrova suo malgrado a portare avanti una lotta non sua, un messaggio che verrà interiorizzato mano a mano che il film prosegue diventando una parte di lui, una parte talmente importante che spinge il pastore Toller a prendere decisioni impensabili.

Amanda Sayfried ci regala una Mary dolce, unica vera innocente della storia. Mary è un personaggio buono nel profondo, una bontà così semplice e disinteressata che non diventa mai scontata, che non scade mai nel buonismo. Il pubblico tifa per lei, sperando che solo il meglio possa accaderle.

E sia Toller che Mary si muovono in spazi opprimentemente vuoti, case in cui la presenza umana è minima, quasi fossero stati abbandonati da tempo. E la telecamera indugia su questi spazi, lasciando volutamente gli attori fuori, le loro voci sono quasi un’eco lontana. Questo senso di oppressivo fastidio è sottolineato da una colonna sonora che non lascia sosta allo spettatore contribuendo a costruire una sorta di gabbia da cui non si può sfuggire per tutta la durata del film. Un film lento, che indugia, un tempo filmico malleabile che risulta assolutamente perfetto per la storia, per la missione di Toller, per la speranza di Mary.

Schrader consegna una pellicola di indubbio valore che costituisce di diritto l’ennesimo successo di un regista che ci ha abituati fin troppo bene.

Michela Marocco

PRO CONTRO
  • Due attori protagonisti magnifici.
  • La messa in scena entra di diritto nella storia del cinema
  • Una storia importante, portata a termine con maestria.
  • È un film lento, aspetto con cui non tutti possono simpatizzare.
  • Una scena onirica che non sembra equilibrarsi bene con il resto del film.
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Venezia 74. First Reformed, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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