Venezia 74. Under the Tree, Il contagio, Sweet Country

Under the Tree

Una lite tra vicini a causa di un albero “invadente”, che getta troppa ombra da un giardino all’altro, è la base su cui si snodano le vicende di Under the Tree (Sotto l’albero) film islandese del regista Hafsteinn Gunnar Sigurðsson. Una storia con sfumature talmente crudeli e assurde da risultare a tratti quasi ridicola, costellata da dispetti e nefandezze perpetrate, più da una coppia di vicini che dall’altra, a stadi più o meno elevati di crudeltà psicologica (prima) e fisica (dopo).

Film forse difficile da capire anche a causa dell’evidente distacco culturale italiano (e non solo) rispetto a una realtà fatta di emozioni represse e poco o male canalizzate e di una insensibilità  emotiva a tratti disturbate.

Si fatica a provare empatia e trasporto per qualsiasi personaggio e per le situazioni che vivono, tra lo squallore del quartiere con case tutte uguali (sembrano scatolette di latta) e la follia della maggior parte dei loro abitanti. A capitanare questa nave dell’assurdo troviamo proprio la proprietaria dell’albero in questione, la cui paranoia delirante raggiunge livelli allucinanti, senza che questo desti la minima reazione o stupore nei familiari.

Anche volendosi appassionare esclusivamente all’aspetto più dinamico della “lite” e del “crime” (a un certo punto diventa tale), risulta comunque difficile trovare una logica e una credibilità anche solo alla metà delle azioni che vediamo compiere ai protagonisti e a tutti coloro che li circondano.

Tra alberi in pericolo, veterinari da denuncia, donne da internare e uomini repressi, Under the Tree è un film strano, di cui forse si può ritrovare il significato andando a scavare più a fondo in quelle che possono essere le problematiche di una società per noi poco (o per nulla) conosciuta.

Voto: 4/10

Il Contagio

Presentato per le Giornate degli Autori, Il Contagio di Matteo Botrugno e Daniele Colucci, racconta uno spaccato della Roma contemporanea attraverso le parole dello scrittore Walter (Vincenzo Salemme),che ci descrive con verve poetica l’intreccio delle vite e delle storie degli inquilini di un palazzo delle borgate.

Un film interessante e ricco di personaggi sfaccettati, dalle personalità e vicende coinvolgenti, in continuo equilibrio tra i loro sogni e una vita che lascia poco spazio alla felicità e all’amore.

È un peccato quindi vederlo  perdersi, soprattutto nella seconda parte, in un turbine sempre più veloce che assorbe persone, luoghi e avvenimenti. Sembra che a un certo punto,pur di riuscire a chiudere le linee narrative principali, si finisca per reciderne alcune di secondarie in modo forse troppo approssimativo.

Il risultato è che verso il finale si perde un po’ il filo, e forse l’interesse, per un film che invece dimostra da subito un grosso potenziale, sorretto da alcune interpretazioni (in primis Vinicio Marchioni nel ruolo di Marcello) importanti e da una regia che riesce a descrivere molto bene, fin dal primo momento, la complessità della storia che va a raccontare.

Il Contagio merita sicuramente almeno una visione, forse due, per consentirci di coglierne al meglio tutti gli aspetti.

Voto: 5/10

Sweet Country

Presentato in concorso alla 74esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Sweet Country del regista australiano Warwick Thornthon, racconta i soprusi e le ingiustizie razziali dei bianchi nei confronti degli aborigeni nell’Australia di inizio Novecento. Quando l’aborigeno Sam Kelly (Hamilton Morris) spara per autodifesa dal bianco Harry March (Ewen Leslie) è costretto alla fuga per evitare un processo che, è convinto, finirebbe per condannarlo a morte certa.

Sweet Country è un western,  dove a dominare sono lo sconfinato paesaggio desertico e le ingiustizie perpetrate dai bianchi e quasi mai punite. Un film lento, fin troppo dispersivo, che ci racconta una storia terribile ma attraverso situazioni e personaggi deboli, che quasi si dissolvono nel vento e nella sabbia che li circonda.

Le ingiustizie, la difficoltà di comunicazione tra culture e soprattutto tra chi detiene il potere e chi viene privato, anche contro la legge, di ogni diritto, sono temi che arrivano forti e chiari al pubblico, ma che potevano essere supportati e resi al meglio da una sceneggiatura più densa e solida.

A fronte di alcune scene molto belle e cariche di tensione, si susseguono lunghi, interminabili momenti di camminate, sguardi e silenzi, che per quanto carichi di significato forse non portano troppa acqua a un mulino che rischia alla fine di restare asciutto.

La verità è che la stessa storia poteva essere raccontata nella metà del tempo, in modo forse più incisivo. Un peccato, perché si tratta di una realtà che, per quanto universale, nello specifico a noi risulta poco conosciuta.

Voto: 4/10

A cura di Susanna Norbiato

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