Venezia 76. The Laundromat – Panama Papers

The Laundromat

Chi pensa che i Panama Papers siano cappellini di carta particolarmente ben fatti è caldamente invitato a guardare questo film. Chi sa cosa sono, lo guardi comunque.

Considerato “il più grande leak di informazioni della storia”, quella dei Panama Papers è una vicenda di frodi fiscali, società offshore, crediti, debiti, trust e un sacco di altra roba che chi non ha studiato economia ha tutto il diritto di non capire affatto. O forse no. Forse Soderbergh con questo film vuole convincerci che se tutti capissimo un po’ meglio questa “roba”, il mondo sarebbe un posto più sicuro.

Si parte con dei cavernicoli dagli occhi oscurati (perché la privacy è importante) che provano ad accendere un fuoco. Ci vorrà l’accendino di Antonio Banderas, che assieme a Gary Oldman veste l’irresistibile ruolo di metanarratore della vicenda. I due ci raccontano con invidiabile brio la nascita del denaro, per poi rivelarci alcuni segreti utili per accumularne a dismisura. Nel farlo si servono di alcuni “esempi”, che in realtà sono parte di un’unica grande storia.

Protagonista dell’esempio più corposo e importante è Ellen Martin (Meryl Streep), vivace nonnina che perde la sua dolce metà in un incidente di barca. Il fatto che in un paio di scene il film riesca a rendere credibile e toccante il lutto di questa donna è l’ennesimo testamento dell’abilità di Meryl Streep (e della qualità della sceneggiatura).

Panama Papers

Ellen dovrebbe ricevere un risarcimento, ma c’è un problema: la compagnia che gestisce le gite in barca è stata truffata dall’assicurazione. I più si accontenterebbero di sfogare la rabbia, sospirare e arrendersi, perché in questi casi non c’è nulla da fare. Non Meryl Streep. Cioè, pardon, Ellen Martin. La nonnina s’imbarca in una improbabile e surreale impresa per arrivare al bandolo della matassa.

The Laundromat è un film divertente. Le gag si sprecano, così come le comparse celebri. Eppure The Laundromat (distribuito sulla piattaforma in italiano con il titolo Panama Papers) riesce anche a essere un film importante. Affonda il colpo in uno dei mali più gravi che affliggono il nostro pianeta. Una di quelle piaghe apparentemente insanabili. Uno di quei problemi tanto grandi che non si risolvono: ci si vive dentro. Soderbergh lo attacca, cerca la soluzione impossibile, nell’unico modo in cui ci può farlo un cineasta: scuotendo le coscienze.

Panama papers

In questo senso The Laundromat è un film di propaganda. A esser risvegliato non è uno sterile patriottismo, ma la nostra identità di consumatori. Noi, schiavi inconsapevoli di padroni invisibili.

Ma è davvero possibile uscire dal labirinto del Dio Denaro? Nel finale Ellen (pardon, Meryl) sembra suggerire che l’unico modo per cavarsela sia prendere in mano la propria storia, guardare la cinepresa dritta nell’occhio. Proprio come i nostri due istrionici metanarratori, che però usano il loro talento per avanzare funambolici su quella “linea sottile come le pareti di una galera”. Loro ci hanno bombardato di lezioncine d’alta finanza sì divertenti, ma che sono in definitiva solo l’apologia di loro stessi. La speranza è che, presa in mano ‘sta storia, sia possibile fare meglio di quei due.

Ho una banana, chi può darmi una mucca?

Alessio Arbustini

PRO CONTRO
Spassoso e impegnato al tempo stesso.

Quarta parete abbattuta con uno stile che Deadpool, prendi appunti.

Malgrado tutto, continuo a non capire niente d’alta finanza.
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