The Book of Vision, la recensione

The Book of Vision

The Book of Vision è un viaggio visionario attraverso il passato e il presente che si intrecciano senza soluzione di continuità, la vita e la morte, il dolore più profondo e l’amore incondizionato. Eva (Lotte Verbeek), una giovane e promettente dottoressa, abbandona la sua carriera per immergersi nello studio della Storia della medicina e mettere in discussione tutto: la propria natura, il proprio corpo, la propria malattia e un destino che sembra segnato. E proprio con Eva, assorta nell’osservazione di una sublime statua di cera anatomica (la Venerina di Palazzo Poggi, a Bologna), ha inizio il viaggio.

Johan Anmuth (Charles Dance) è un medico nella Prussia del Settecento, in bilico tra nuove spinte razionaliste e antiche forme di animismo. Book of Vision è il manoscritto capace di intrecciare le loro esistenze in un vortice ininterrotto.

Lontano dall’essere un testo scientifico, il libro contiene le speranze, le paure e i sogni di più di 1800 pazienti: il medico prussiano sapeva come ascoltarli e il loro spirito vaga ancora tra le pagine, dove vita e morte fanno entrambe parte di un unico flusso. La storia di Anmuth e dei suoi pazienti darà così a Eva la forza per vivere appieno la propria vita, comprendendo che niente si esaurisce nel proprio tempo.

The Book of Vision, percorso immaginifico nell’animo umano ed opera prima del regista e produttore italo-svizzero Carlo S. Hintermann, ha aperto la 35^ Settimana internazionale della critica di Venezia, con un evento speciale fuori concorso.

Girato tra Belgio e Italia, The Book of Vision è un labirinto di mondi, un affresco meraviglioso, un dipinto a tecnica mista su 24 fotogrammi al secondo. Un’opera ambiziosa e puramente estetica, dove le visioni di Malick echeggiano, si incontrano con quelle ereditate da Peter Greenaway e vengono condite con un pizzico di quella maestria appresa da Matteo Garrone per Dior.

Più che di fronte ad un film, ci troviamo davanti ad un’esperienza pittorica, nata grazie alla sinergia tra Terrence Malick, appunto produttore esecutivo e “padre putativo” del regista, il direttore della fotografia Joerg Widmer (tra i più celebrati in Europa, al quale dobbiamo la straordinaria fotografia della serie Dark e collaboratore con registi iconici come Wim Wenders, Quentin Tarantino, Michael Haneke e Roman Polanski), lo scenografo David Crank (collaboratore già di Malick e Spielberg) e Mariano Tufano, che ha fatto un grande lavoro di ricerca sui costumi di scena, adattando il registro estetico e cromatico a ogni epoca rappresentata.

Book of Vision

«Desideravo esplorare la prima metà del ’700, perché è lì che i germi dell’Illuminismo convivono con un retaggio animistico-spirituale. Sono giunto a quella prospettiva dal contemporaneo, per mettere in discussione ciò che del presente ci sembra inconfutabile, come l’indagine del corpo, e in particolare di quello femminile. Volevo capire – racconta Hintermann – se è sempre stato così. Se il corpo della donna è sempre stato percepito come “pubblico”, passibile di opinioni e oggetto di discussioni. Il film segue la protagonista, figura archetipica, nel suo viaggio a ritroso nel tempo, quando eravamo noi stessi a parlare del nostro corpo, raccontandone una storia intima».

Nello spazio visionario di Carlo S. Hintermann la poesia è un mondo alternativo abitabile, qualcosa che può cambiare la vita, soprattutto nella difficoltà. Lo abbiamo visto recentemente: raccontare la storia di chi è rimasto vittima della pandemia, dargli un nome, è stato fondamentale. Hirtermann vuole dare un nome ad un passato assopito, alle vite dimenticate. Riconoscere il valore della parola significa dare importanza alle vite parallele che viviamo costantemente, a quelle tracce che come un fiume carsico continuano a scorrere in noi.

Book of Vision

“La possibilità di attraversare il tempo mi ha sempre affascinato. Forse il primo motivo per cui mi sono innamorato del cinema è la sua capacità di saltare in dimensioni temporali e spaziali diverse. The Book of Vision fa di questa possibilità un elemento di forza. La passione maturata verso i film fantasy – continua il regista – degli anni ’80 e ’90 con i quali sono cresciuto, da I Goonies a Labyrinth, da La Storia infinita a Ritorno al futuro, ha un ruolo importante. Il meccanismo è lo stesso: aprire una porta verso una dimensione inaspettata, verso il fantastico. Dal punto di vista visivo sia la parte contemporanea che quella del passato tengono conto di questa porta: ogni luogo, ogni oggetto, ogni azione ha una valenza ambigua, in bilico tra due dimensioni.”

The Book of Vision è un film assetato di bellezza, che sembra riconoscere con umiltà le pecche che presenta. Il fascino visivo è indubbio ma la linea narrativa, spesso, non è all’altezza, risultando incerta e tentennante. Alle atmosfere suggestive non corrisponde un disegno narrativo degno. Si potrebbe dire volgarmente: bello, ma non balla! La trama vorrebbe essere complessa e ricca, zeppa di temi profondi ed interessanti come quello del passaggio dalle antiche forme di animismo alle nuove idee razionaliste. Tanta carne al fuoco e ci troviamo immersi in un calderone glamour, costellato di accelerazioni narrative e brusche frenate patinate, perché nessuno degli argomenti messi in gioco viene approfondito a pieno. “Ogni luogo, ogni oggetto, ogni azione ha un valore ambiguo, in bilico tra due dimensioni“, afferma il regista. Ecco, il bilico tra le due dimensioni viene sì, visivamente presentato ma, purtroppo, non basta e il risultato è quello di un bel vaso di design pieno di pot-pourri, fine a se stesso.

Book of Vision

La regia di Hintermann è, inevitabilmente, ancora allo stadio embrionale e vanta alcune idee valide ed interessanti, non inedite. Senza dubbio The Book of Vision sancisce la sintonia artistica fra Carlo Hintermann e Terrence Malick e vanta intuizioni estetiche che si fanno ricordare, ma non riesce in quell’intento che si prefigge: accompagnare lo spettatore ed aiutarlo a meditare sul valore della natura e su tutti quei moti segreti ed invisibili che animano le relazioni personali e che prevaricano spazio e tempo.

Dopo essere stato presentato alla 77^ Mostra del Cinema di Venezia nel contesto della Settimana Internazionale della Critica ed essere stato candidato a un David di Donatello e tre Nastri d’Argento, The Book of Vision esce al cinema l’8 luglio 2021 distribuito da RS Productions.

Ilaria Berlingeri

PRO CONTRO
  • La fotografia straordinaria.
  • I costumi.
  • Le ambientazioni.
  • La struttura narrativa ambiziosa non centra il punto.
  • La recitazione sterile della protagonista.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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The Book of Vision, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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