Venezia78. Inu-Oh, la recensione

Il nuovo film del regista di animazione Masaaki Yuasa, dopo il successo su Netflix di Devilman Crybaby, è Inu-Oh, un film ambientato nel periodo Edo e che racconta con uno stile fiabesco e leggendario la storia di due grandi antichi musicisti realmente esistiti che hanno profondamente innovato il teatro Noh, per poi quasi scomparire dalla storia e dalla memoria.
Tomona è un giovane che perde la vista da bambino e diventa un suonatore di biwa. La sua storia è quella di un uomo in cerca del suo nome e della sua identità. Se infatti il padre si raccomanda con lui di continuare a farsi chiamare Tomona per poterlo trovare come spirito, una volta entrato nella compagnia del maestro Kakuichi deve però cambiare il suo nome in Tomoichi, per poi scegliere di mettersi in proprio con il nome Tomoari.
Quest’ultima scelta lo porta infatti su una nuova strada, volta a cercare di innovare e cambiare la musica tradizionale giapponese, cercando nuove canzoni e leggende sugli Heike che vanno oltre a quelle ufficiali, dovendosela però vedere con le intemperanze dello shogun, a cui interessa la stabilità e l’ordine sociale.
Dall’altro lato di Tomona (oTomoichi o Tomoari), c’è Inu-Oh, maledetto dall’infanzia e per questo orribile e sgraziato, con un lungo braccio asimmetrico e un volto terrificante perennemente nascosto da una maschera. Lui e Tomona, il mostro e il cieco, diventano amici e grandi interpreti di Noh riconosciuti e apprezzati dal pubblico ma meno dai potenti della società giapponese e dagli artisti cultori dello stile tradizionale. Il film racconta quindi la storia di una grande amicizia tra due artisti e innovatori, che li porta però nel finale a prendere scelte e strade diverse.
Il film inizialmente ha una importante componente narrativa attraverso le canzoni dei suonatori di biwa tradizionali che raccontano gli antefatti e la storia dei due ragazzi, per poi lasciare il posto alle opere dei due protagonisti, trasformandosi quasi in un musical. Per far capire l’ondata innovativa, l’apprezzamento del pubblico e la forza dirompente rispetto la classicità, Yuasa sceglie in maniera molto originale di inserire nella narrazione musicale tradizionale una vera e propria opera rock, stile Deep Purple o Queen, come ha detto lo stesso regista nel Q&A a Venezia78 dopo la prima visione del film in concorso nella sezione Orizzonti. Una scelta decisamente particolare e straniante, che riesce a comunicare l’ondata di ribellione e libertà richiesta dai due artisti, ma che in alcuni punti diventa un po’ pesante e ripetitiva.
Nella sezione centrale, infatti, il film si trasforma in qualcosa a metà tra un’opera rock e un musical, in cui gli artisti proseguono attraverso le loro performance a raccontare le loro storie e vicissitudini, per poi nella parte finale arrivare al climax e tornare più verso la tradizione.
Con improvvise esplosioni di sangue e uno stile grafico meraviglioso e curato a cui il regista giapponese ci ha sempre abituato in opere come The Tatami Galaxy, Walk on Girl the Night Is Short, Ping Pong e Devilman Crybaby, il film è visivamente molto affascinante e ben disegnato. Forse, però, a causa di quella parte centrale un po’ troppo lunga e ripetitiva, Inu-Oh, per quanto interessante storicamente e molto curato graficamente, risulta una delle opere meno riuscite di Yuasa, apparendo comunque un film godibile e con una bella storia da raccontare.
Mario Monopoli
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