Saint Omer, la recensione

Prova di interessante ardimento (e quindi di personalità), quella della regista francese Alice Diop, molto prolifica perché già sbarcata a Berlino con il suo Nous.

Saint Omer possiamo definirlo ardito in quanto stressa il tempo, un po’ come alla Mostra del Cinema di Venezia quest’anno lo è stato anche Iñárritu con il suo Bardo. Entrambi i film hanno infatti riabituato lo spettatore a fermarsi e immergersi nelle scene, come un tempo accadeva più frequentemente con le opere portate nei Festival.

Quando siamo in tribunale con la donna senegalese immigrata in Francia, Laurence, colpevole di aver ucciso sua figlia (ammette dal primo minuto di essere colpevole), noi la sentiamo respirare (anche perché la Diop ce lo fa sentire anche a macchina da presa distante) e così la possiamo vedere più dalla sua esperienza in tribunale che attraverso uno schermo.

Venendo alla trama di Saint Omer, Laurence è la co-protagonista del film, assieme a un’altra donna franco-senegalese, Rama, insegnante di letteratura, che insieme alla mamma dell’imputata sono le uniche tre persone di colore dentro l’aula. Il ruolo dell’insegnante non lo si scoprire fino alla fine, dove la comprensione sfocia nello spirituale.

Ecco che appunto la Diop porta con sé, ancora, parte della sua cultura esprimendola senza vincoli.

Lo conoscete il voodoo?

La magia è un elemento molto importante nella cultura africana, quanto può essere irrazionalità nella cultura occidentale. La follia. Tema già presente e affrontato in modo indiretto da Nan Goldin. Qual è la parte giusta secondo cui giudicare, quando entrambe non possono essere dimostrate?

In questo film, però, la chiave di lettura non è tanto la questione razziale, quanto invece la presentazione proprio di un’altra voce. La voce della Diop è sicuramente intimista, e lo dimostrano le diapositive dell’infanzia e dei pranzi e dei compleanni di una famiglia africano-musulmana: niente alcool solo Fanta e bibite, tutti vestiti con abiti tradizionali e tanto senso di famiglia.

Non è un caso che anche la colonna sonora, poco presente ma importante nei momenti che accompagna, sia un remix in chiave elettronica di canzoni tradizionali sempre africane.

In questo caso sembra che la regista voglia presentare anche lo stacco da donna africana che vive la sua dimensione occidentale. Con Saint Omer, la Diop sembra abbandonare l’istantaneità fotografica dei precedenti lavori per mettere giù la macchina e diventare essa stessa spettatrice.

Anche se la donna omicida viene contrapposta al suo ex compagno con cui aveva avuto la figlia, l’uomo appare più preoccupato di non fare brutta figura in tribunale piuttosto che pensare alla sua (seconda) figlia che è stata brutalmente assassinata.

Insomma, con Saint Omer Alice Diop sembra approcciare il cinema in senso più classico, dopo i precedenti lavori dal piglio maggiormente documentaristico. E ci sentiamo di dire che la prova è stata ampiamente superata.

Saint Omer ha vinto alla 79^ Mostra del Cinema di Venezia il Leone d’Argento – Gran premio della giuria e il Leone del Futuro – Premio Venezia opera prima “Luigi De Laurentiis”, arriverà nei cinema l’8 dicembre distribuito da Medusa e Minerva Pictures.

Roberto Zagarese

PRO CONTRO
  • Sceneggiatura.
  • Senso del ritmo.
  • Tematiche affrontate.
  • Recitazione di alcuni attori.
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Saint Omer, la recensione, 7.5 out of 10 based on 2 ratings

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