Wild, la recensione

Gran ritorno di Jean-Marc Vallée con Wild, dopo il successo ottenuto da Dallas Buyers Club. Anche stavolta un film americano per il regista canadese che, sebbene si sia parecchio allontanato dalle sue prime opere, continua a destare interesse.

Dopo Into the Wild, 127 ore e Tracks – Attraverso il deserto, ancora un altro adventure movie sulla scia di Robinson Crousoe, ma dal contenuto più drammatico. Ispirato da un’autobiografia e sceneggiato dallo scrittore Nick Hornby, Wild è un film semplice ed efficace, come il titolo scelto per questa storia.

La prima inquadratura del film ci conduce all’ambientazione montanara, in cui si muove la protagonista Cheryl Strayed, una donna dall’oscuro passato, magistralmente interpretata dal premio Oscar Reese Whiterspoon. Sangue, fatica, stanchezza, lividi. Queste sono le prime sensazioni che emergono dal film, dipinte sul volto della protagonista. Di fatto, l’occhio della m.d.p. entra a film già iniziato perché quello che interessa il regista non è il viaggio fisico, ma il viaggio interiore, nell’anima del personaggio. I lenti ritmi della natura, tappa dopo tappa, lasceranno affiorare ogni lato nascosto di questo personaggio, dandoci ogni volta un’informazione nuova e inaspettata, così che questo personaggio ci sfuggirà via via sempre più, ci sembrerà sempre più indefinibile.

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Più che con i tre film sopra riportati, a cui molte inquadrature fanno comunque riferimento, Wild sembrerebbe avere più analogie con il lynchiano Una storia vera, soprattutto per lo sguardo intimo sul personaggio. E forse non è un caso che nel cast figura anche Laura Dern, nel ruolo della madre di Cheryl, attrice lynchiana per eccellenza. Senza contare anche le analogie con il film di Agnès Varda Senza tetto né legge, soprattutto nella sequenza dell’incontro tra Cheryl e Jimmy Carter.

Ciò che salta subito all’occhio dello spettatore è proprio il rapporto madre-figlia, narratoci attraverso una serie di regressioni nel passato. Due donne così diverse, e insieme così simili, con quel misto di forza e fragilità. Il viaggio di Cheryl va sempre avanti e sempre indietro, facendone riemergere il tormentato passato. Un passato di traumi ed eccessi. A portarla qui sono state forse le troppe scelte sbagliate. Come dice una sua amica: “Perché fai questo a te stessa?” Il viaggio di Cheryl è forse un tentativo di dare una risposta a quella domanda, una ricerca per definirsi, a cavallo tra la bellezza e il pericolo. E a questo proposito diventa eloquente l’incontro con l’inetto giornalista Jimmy Carter, che la scambia continuamente per una barbona, al quale lei dice: “Questa è la mia vita. Mi sto solo prendendo una pausa”.

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La sceneggiatura ha il merito di sottolineare sempre questo lato, questa ferita aperta del personaggio di Cheryl. Perché questa è la natura secondo il regista: aperta e senza risposte, selvaggia e piena di fascino. E la natura va qui intesa in un senso molto ampio perché la vegetazione diviene solo un riflesso, un’immagine speculare dell’anima umana, colta nel suo faticoso cammino irto di ostacoli.

 Claudio Rugiero

PRO CONTRO
  • Film di senso semplice e universale
  • Sceneggiatura coerente con i fini della narrazione

 

  • In alcuni punti, c’è un forte rallentamento di ritmo
  • Prevalere dei silenzi sui dialoghi

 

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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Wild, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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