Wilde Salomé, la recensione

La carriera di Al Pacino regista cinematografico è estremamente coerente nonché controcorrente, così maniacalmente legata al teatro, sua passione da sempre. Il suo esordio, infatti, risalente al 1996, fu con Riccardo III – Un uomo, un Re, reportage del lavoro che c’è stato dietro il suo tentativo di portare al teatro il Riccardo III di Shakespeare. Anche Chinese Coffee, del 2000, è un’operazione meta-teatrale fortemente personale e ora Wilde Salomé replica l’esperienza prendendo come punto di riferimento la Salomé di Oscar Wilde.

Presentato nel 2011 alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, dove ha anche vinto il premio collaterale Queer Lion, Wilde Salomé rispecchia la visione teatrale/cinematografica di Al Pacino già espressa in precedenza, ma lo fa con una indecisione e ridondanza che potrebbe essere dettata da una reale mancanza di ispirazione.

Wilde Salome Al Pacino

Wilde Salomé è chiaramente un’opera sperimentale che fonde il linguaggio del documentario con quello della fiction, gettando nel mezzo anche il reportage teatrale. Di base si racconta la storia di un regista e attore di teatro, Al Pacino appunto, che vuole portare al cinema la Salomé di Wilde che ha rappresentato (e sta rappresentando) tante volte sul palcoscenico. E fin qui ci siamo, un’operazione che ricorda Riccardo III, anche se si tratta vistosamente di una piccola e grezza produzione indipendente. Poi, in maniera quasi schizofrenica, Wilde Salomé è anche un documentario su Oscar Wilde, con tanto di voce narrante che racconta i momenti salienti della vita dell’artista, contributi visivi, visite sui luoghi legati alla vita di Wilde e testimonianze dei sui parenti tutt’ora viventi.

Wilde Salomé da uno a trino, in un tripudio di autoreferenzialità che palesa un’indecisione stilistica e tematica.

wilde salomé 3

Se come documentario su Wilde è piuttosto mediocre perché non aggiunge nulla di davvero essenziale su una tematica largamente trattata altrove, come film su un film risulta piuttosto noioso e anche abbastanza confuso. La messa in scena della ricostruzione ha il suo perverso fascino soprattutto quando ci mostra la difficoltà del portare in scena un’opera, palesando, quindi, la sua componente fictional (per quanto forse reale ma comunque plausibile). Gli elementi da backstage teatrale non sempre risultano ben amalgamati e quello che emerge spesso è una confusione sul cosa si sta effettivamente facendo, nonostante ci sia una diversa grana d’immagine a distingue l’una o l’altra cosa.

In un marasma di stili, linguaggi e realtà che si intrecciano e sovrappongono senza una reale logica, c’è una sola cosa che lo sguardo segue sempre con un morboso e affascinato interesse: Jessica Chastain. Quando l’attrice non era ancora al top della sua fama, ha scelto di interpretare Salomé, o meglio, l’attrice che interpreta Salomé, in questo film scritto, diretto e prodotto da Al Pacino. La sua presenza è magnetica, la sua fisicità ruba la scena a chiunque e la scena della sua danza seduttiva rimane impressa nella retina dello spettatore.

wilde salomé 2

E pensare che la versione che arriva in Italia di Wilde Salomé è più breve di quella che fu presentata a Venezia di almeno una decina di minuti, molti dei quali dedicati a una poco vestita Chastain. Sacrilegio!

E niente, Wilde Salomé è una “cosa” davvero poco fruibile. Un’opera per pochi, pochissimi, vistosamente pasticciata, troppo autoreferenziale, a tratti sfiancante. Insomma, difficile da digerire.

E se il film ha avuto una distribuzione limitatissima nel mondo e a distanza di molti anni dal suo completamento, possiamo capire il perché.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Jessica Chastain. Se il film fosse stato una camera fissa su di lei, sarebbe anche stato meglio.
  • Indeciso sul cosa essere: fiction, reportage teatrale o documentario?
  • Troppo autocompiacimento.
  • Il doppiaggio italiano.
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