X-Men: Apocalisse, la recensione

Prima di Cap vs Iron Man, prima di Batman vs Superman, prima che le parole geek e nerd facessero tendenza, prima di tutto questo c’erano gli X-Men. Nell’ormai lontano 2000, tempi in cui i fumetti al cinema erano un prodotto per una ristretta nicchia di eterni peter pan, un signore di nome Bryan Singer metteva le mani sulla saga degli X-Men, portando al primo grande successo cinematografico che andasse a braccetto con l’abusatissimo cinecomic odierno.

Con X-Men: Apocalisse siamo al numero 8 (nove se si conta anche Deadpool), due trilogie e due spin-off interamente dedicati a Wolverine. La seconda trilogia, iniziata nel 2011 con X-Men: L’inizio, cambiava completamente il cast originale e pescava attori giovani, affascinanti e sulla cresta dell’onda per raccontare gli X-Men partendo dalle loro origini. Il primo film diretto da Matthew Vaughn fu promosso dai fan e dalla critica, tanto che anche lo stesso Singer tornò alla regia con il secondo titolo, X-Men: Giorni di un futuro Passato, un film che si prefiggeva l’arduo compito di intrecciare i due cast di età diverse attraverso un viaggio nel tempo.

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X-Men: Apocalisse riprende le fila esattamente dove Giorni di un futuro passato si era concluso: la storia parte dall’antico Egitto per mostrarci quello che sembra essere il primo mutante della storia dell’uomo, Apocalisse. Quest’ultimo recluta un gruppo di mutanti con il compito di purificare l’umanità per creare un nuovo mondo su cui governare. Non sembra il massimo dell’originalità come sinossi, vero?

Dopo la confusione temporale di Giorni di un futuro Passato (presa di mira, genialmente, anche dallo stesso Deadpool), Singer mette ordine, probabilmente anche troppo, nella vita di tutti i personaggi. Il ritmo narrativo dell’intera pellicola rasenta la linearità eccessiva, il piattume e, in alcuni momenti, la noia: più o meno tutti i passaggi sono prevedibili e poco accattivanti e i cambi di rotta non sono sufficientemente spiegati. Quello che non si può proprio perdonare al film è il perenne riciclo di scene e dialoghi molto simili alle pellicole precedenti: sorridiamo quando viene copiata e incollata una nuova scena in slow-motion di Quicksilver, ma capiamo che le idee scarseggiano.

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Per raccontare l’apocalisse, vengono chiamati a raccolta un elevato numero di personaggi così da cadere in un errore comune ad alcuni titoli della saga: la sceneggiatura, firmata da Simon Kinberg, non riesce a dare sufficiente spazio a tutti i personaggi e diverse new entry hanno l’unica utilità di risvegliare l’attenzione del pubblico maschile (vedi la Psylocke di Olivia Munn ridotta a una mutante da copertina). I personaggi sono belli, oseremmo dire bellissimi, merito anche di Apocalisse che, oltre a grandi poteri, regala ai suoi prediletti anche un restyling completo da far invidia a Enzo e Carla. La verità è che il grande e maestoso Apocalisse non ci ha minimamente conquistato: neanche la bravura recitativa di Oscar Isaac è bastata perché il personaggio è un villain che parla poco e male e comunica solo tanta voglia di distruggere. I protagonisti, sofferenti di un principio di bipolarismo, ripetono costantemente i medesimi errori, senza motivare un avanti e indietro emotivo quasi fastidioso. La prima parte dedicata a Magneto/Michael Fassbender sembra concedere un po’ d’aria fresca al personaggio, peccato duri ben poco.

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La saga degli X-Men è riuscita da sempre a trasportare i comportamenti e i problemi della società americana (di diversi periodi storici) in rapporto a temi complessi e spinosi come la diversità e l’accettazione dell’altro e di sé stessi. Questa volta tali riflessioni sono solo marginali e i personaggi compiono solo tante azioni spettacolari che fanno perdere alla pellicola tutto il suo possibile spessore. Non è un caso che il film funzioni al meglio esattamente nei momenti in cui queste tematiche occupano un piano rilevante: nelle sequenze dedicate a un giovane Ciclope (Tye Sheridan), viene riproposto il tema dell’accettazione e la paura verso un potere più grande e incontrollabile che risiede in ognuno di noi.

Lo psicodramma dell’eroe, inteso come processo individuale e problema sociale e collettivo, è da sempre il punto di forza di X-Men: Captain America e la Marvel hanno imparato dal Professor X e Magneto, mentre quest’ultimi sembrano aver perso di vista il cuore stesso del loro conflitto.

Matteo Illiano

PRO CONTRO
  • Il livello recitativo è molto alto. Michael Fassbender è sempre il primo della classe.
  • Le scene dedicate a Ciclope, l’unica new entry trattata con riguardo, rappresentano la vera anima degli X-Men.
  • Ricco di personaggi nuovi ma vuoto di psicologie.
  • Troppo prevedibile a livello narrativo.
  • Apocalisse incarna il cattivo che non vogliamo più vedere al cinema.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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