You, stagione 4: aspettando il gran finale

You è una serie confusionaria. Incerta nel tono di voce fino alla seconda stagione, iperbolica, semplicistica nella messa in scena del thriller, ambigua, un po’ naïf e a tratti disturbante. Eppure riesce a distinguersi nel mare magnum di produzioni fatte con lo stampino, e a farsi guardare con un piacere e un divertimento non scontati.

Il protagonista, Joe Goldberg (un Penn Badgley talmente in parte da farti pensare “ok, se ti incontro cambio strada”), è un pericoloso stalker con la faccia da bravo ragazzo. In ogni stagione di You lo vediamo innamorarsi perdutamente di una povera malcapitata, convincerla di essere l’uomo della sua vita e poi cannibalizzarne l’esistenza fino all’omicidio. L’ottimo escamotage narrativo su cui si regge la serie, tratta dai romanzi di Caroline Kepnes, è la scelta prospettica: noi spettatori siamo costantemente calati nel punto di vista di Joe, ascoltiamo i suoi pensieri, seguiamo il filo logico dietro alle scelte mostruose che compie. Riusciamo a empatizzare con Joe, a trovarlo simpatico, senza dimenticare quanto è orribile.

La stagione 4 si apre con l’inizio di una “nuova vita”, per Joe, che negli Stati Uniti si è lasciato alle spalle una lunga scia di cadaveri ed è stato costretto a cambiare identità e trasferirsi in Inghilterra. Lo stalker ammalato di romanticismo tossico sembra intenzionato a ripartire da zero e rigare dritto: lascia andare Marienne, la sua ultima “preda” della stagione 3. Trova lavoro come professore al college. Coltiva un nuovo giro di amicizie: un odioso manipolo di ereditieri viziati (il genere di vittime potenziali per cui anche lo spettatore più sensibile avrebbe difficoltà a provare empatia). E soprattutto: non stalkera e non ammazza nessuno.

Anzi, si trova travolto suo malgrado dall’operato di un altro serial killer, che inizia a prendere di mira i suoi amici ricchi e – scoperta l’identità segreta di Joe – a perseguitarlo con messaggi anonimi e minacce. Questa “nemesi” del redento protagonista è Rhys Montrose (Ed Speleers), influente scrittore e candidato alla carica di sindaco di Londra, che sembra lasciarsi dietro una scia di sangue per favorire la propria ascesa politica.

Devo confessare che ci sono cascata con tutte le scarpe. Con queste premesse, ho guardato la prima parte della stagione 4 con atteggiamento di sufficienza: l’entrata in scena di Rhys Montrose mi sembrava un salto dello squalo, la “redenzione” del personaggio di Joe (da carnefice a vittima di un folle, e impegnato a cercare di salvare la vita agli amici parassiti) poco credibile e fastidiosa. La serie aveva sempre avuto un andamento ciclico, ripetitivo, molto funzionale a raccontare i pattern di pensiero di uno stalker: Joe si innamora, si convince che lei sia quella giusta, la idealizza e poi la distrugge. Trovavo straniante la divergenza della stagione 4 da questo sentiero narrativo e la deviazione dell’arco del personaggio di Joe mi sembrava, semplicemente, cattiva scrittura.

SPOILER ALERT!

A metà stagione, però, il colpo di scena: Joe non è cambiato affatto. Rhys Montrose è solo una proiezione della sua mente, il “Tyler Durden” (da discount) a cui ha delegato il lavoro sporco. La ruota infernale continua a girare: Joe si è innamorato di Kate, la sua nuova vicina di casa, e la lunga serie di omicidi tra ricchi è solo un modo per arrivare a lei. Questa scoperta inquietante è per lo spettatore un rassicurante ritorno a casa, che arriva al momento giusto; un attimo prima di rischiare di disamorarsi della serie.

FINE SPOILER

E se il ribaltamento costringe a chiudere più di un occhio sulla debolezza di certi snodi narrativi (la sequenza dell’incendio nella magione di campagna, alla luce delle nuove rivelazioni, richiede una sospensione dell’incredulità ben superiore a quanto sarebbe lecito), è talmente soddisfacente da predisporre il pubblico a un diplomatico laissez-faire.

Il buon ritmo e il casting azzeccato (memorabile la piccola parte di Greg Kinnear dei panni del perfido padre di Kate) fanno il resto, portando a casa l’ennesima stagione divertente e guardabile di You: una serie che continua a tirare dignitosamente la carretta introducendo trovate originali, ma senza tradire le aspettative del pubblico.

SPOILER ALERT!

Il finale della stagione 4 poteva serenamente essere definitivo: Joe abbraccia la sua natura oscura, conquista Kate (che – contenta lei – lo ama esattamente per come è), ottiene una posizione di potere e riesce persino a recuperare la sua vera identità, riabilitando il proprio nome grazie alla stampa connivente. Un happy ending sicuramente nero, ma più rotondo e conclusivo dei finali delle altre stagioni.

FINE SPOILER

Invece, è di questi giorni la notizia che la stagione 5 è stata confermata da Netflix, che vedrà probabilmente la luce nel 2024 e che sarà l’ultimo appuntamento con Joe Goldberg.

Cosa ci possiamo aspettare da questo capitolo conclusivo della serie?

Una buona strada potrebbe essere il recupero dei personaggi “sopravvissuti” a Joe e in cerca di vendetta, come Marienne o come Nadia (Amy-Leigh Hickman), la brillante studentessa con il pallino per l’investigazione. Riusciranno, nella stagione 5, a chiudere il cerchio e a chiedergli il conto per tutte le vite che ha distrutto? Ancora non possiamo saperlo. Ma di una cosa possiamo essere abbastanza sicuri: l’ultima stagione di You sarà irrimediabilmente… molto guardabile.

Buona attesa.

Sara Boero

PRO CONTRO
  • La scrittura divertente e coinvolgente, che rende You il guilty pleasure perfetto per le serate funestate dallo scrolling su Netflix.
  • Il casting azzeccato e solido.
  • La rassicurante circolarità della struttura, che nonostante il tema disturbante mantiene lo spettatore in una comfort zone.
  • La sceneggiatura zoppicante nelle soluzioni thriller: far sparire un cadavere non è mai stato così facile e la scientifica nel mondo parallelo di You sembra ferma alla caduta dell’Impero Romano.
  • La complicità totale che richiede allo spettatore nei risvolti più improbabili del plot.
  • Il contrasto tra la leggerezza del tono e la crudezza claustrofobica di certe situazioni portate in scena: un elemento originale, ma che potrebbe risultare fastidioso per una parte del pubblico.
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