1485kHz (Se otto ore), la recensione del film horror di denuncia sociale

In un’epoca cinematografica in cui l’horror sembra spesso ridursi a formule ripetitive e spaventi facili, 1485KHz (Se otto ore) di Michele Pastrello emerge come un’opera coraggiosa e originale. Questo cortometraggio, infatti, non solo si ancora a suggestioni soprannaturali adottando il linguaggio della ghost-story, ma lo intreccia con una riflessione profonda sulla condizione del lavoratore precario, utilizzando il genere come strumento di denuncia sociale. Non è un caso, infatti, se 1485KHz (Se otto ore) arriva al pubblico proprio il 1° maggio, data simbolo in Italia per il mondo del lavoro, esordendo in streaming VOD su due piattaforme indipendenti, Reveel e Altavod, coerentemente lontane dalle logiche delle grandi major.
La protagonista di 1485KHz (Se otto ore), interpretata da una bravissima Lorena Trevisan, è un’addetta alle pulizie spinta dalla necessità di lavorare; accetta, così, un incarico in una casa isolata in montagna, precedentemente affidato a una collega extracomunitaria di cui si sono perse le tracce. Una volta arrivata, si trova in un ambiente buio e inquietante, dove scopre un volume del fisico Ernst Senkowski sulla “transcomunicazione strumentale”. Il luogo rivela presenze misteriose, ma il bisogno di lavorare la spinge a restare per portare a termine il suo compito.
Il titolo 1485KHz fa riferimento alla frequenza utilizzata per registrare presunte voci dei defunti, secondo gli studi del documentarista svedese Friedrich Jürgenson, pioniere della psicofonia. Questa scelta non è casuale perché il film utilizza la metafonia come metafora per esplorare la memoria delle lotte operaie e la manipolazione psicologica dei lavoratori precari. La protagonista, intrappolata in un ambiente ostile e alienante, diventa proprio il simbolo di quella classe lavoratrice sfruttata e silenziata dal “padrone”.
Il riferimento alla canzone “Se otto ore vi sembran poche“, un canto di protesta delle mondine dei primi del ‘900, sottolinea l’intento del regista di collegare la condizione del lavoratore contemporaneo a quella delle generazioni passate. Il film suggerisce un eterno ritorno di certe dinamiche, nonostante i cambiamenti nel tempo e nelle forme di lavoro, che porta a un sostanziale immobilità nelle dinamiche di sfruttamento e oppressione.
Allo stesso tempo, 1485KHz (Se otto ore) non dimentica mai di essere un film horror e l’atmosfera trasmette un efficace senso di oppressione, costruita attraverso l’uso sapiente del suono e delle luci. Le interferenze radio e i rumori distorti creano un senso di disorientamento, mentre l’oscurità che avvolge la casa amplifica la sensazione di claustrofobia. La pioggia incessante diventa quasi un personaggio a sé stante, un elemento che separa la protagonista dal mondo esterno e la costringe a confrontarsi con le proprie paure.
Michele Pastrello dimostra – come se ce ne fosse ormai bisogno – una padronanza tecnica notevole, utilizzando il linguaggio cinematografico per raccontare una storia che va oltre il semplice intrattenimento. La regia è precisa e misurata, evitando effetti gratuiti e concentrandosi sulla costruzione di una tensione psicologica crescente. L’uso del suono, in particolare, è fondamentale: le voci registrate e le interferenze radio diventano strumenti narrativi che amplificano il senso di inquietudine e alienazione.
Lorena Trevisan (che avevamo già visto in Inmusclâ dello stesso Pastrello) offre una performance intensa e credibile, riuscendo a trasmettere la vulnerabilità e la determinazione del suo personaggio. La sua interpretazione è il cuore pulsante del film, capace di coinvolgere lo spettatore in un viaggio emotivo
1485KHz (Se otto ore) è un cortometraggio che si distingue per la sua capacità di mescolare il genere horror con una riflessione sociale profonda. Michele Pastrello riesce a creare un’opera che non solo intrattiene, ma stimola anche una riflessione critica sulla condizione del lavoratore precario e sulle dinamiche di potere che lo opprimono. In un panorama cinematografico spesso dominato da produzioni superficiali, questo film rappresenta un esempio di come il cinema possa essere uno strumento potente di denuncia e consapevolezza.
Roberto Giacomelli
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