Baby Invasion: l’ultima follia di Harmony Korine. La recensione da Venezia81

Un team di sviluppatori sta lavorando a un videogioco sparatutto home invasion, in cui bande armate prendono d’assalto le case dei ricchi, celando i volti con avatar di neonati: l’inquietante software è ancora in fase beta quando finisce nel dark web. Riscuote l’entusiasmo di un’ampia community di gamer, che – incapaci di distinguere la realtà dal videogame – all’improvviso iniziano a emulare le gesta dei baby invader nella vita reale. I criminali trasmettono le proprie cruente “imprese” in live streaming, sostenuti dall’entusiasmo di un grande numero di follower.

È questa la premessa di Baby Invasion, l’ultima follia di Harmony Korine, presentata fuori concorso all’81ª Mostra del Cinema di Venezia. Ed è anche l’unica, evanescente, cornice narrativa offerta allo spettatore, in un lavoro che ancora una volta gioca a destrutturare il linguaggio cinematografico.

Gli ottanta minuti del film seguono quasi ininterrottamente le avventure di un gruppo di baby invader nell’assolata Miami: ripresa in soggettiva, ratio claustrofobica, colonna sonora techno ininterrotta a tutto volume, mentre sullo schermo scorre incessante la chat del live streaming. Migliaia di utenti divertiti da tutto il mondo commentano in diretta le violenze dei criminali con le facce da bambini, come se si trattasse di un videogioco qualsiasi. “È meglio di un episodio di Black Mirror”, azzarda qualcuno: sembra di vederli, pronti a postare meme sui propri profili social. La velocissima live chat è in effetti uno degli elementi più conturbanti del film: difficile distogliere lo sguardo per concentrarsi sull’azione.

L’interfaccia grafica ricalca fedelmente quella di un gameplay in diretta streaming, su una piattaforma simile a Twitch. Una voce narrante femminile, a intervalli di alcuni minuti, pronuncia frasi che riguardano un coniglio – come se il coniglio fosse l’allegoria di qualcosa. Di che cosa? Sicuramente nel mondo alternativo di Baby Invasion ha tutto un senso, ma nel nostro non è dato saperlo.

La scelta di nascondere i criminali con le smorfie innocenti di bambini di pochi mesi è sicuramente d’impatto e connota fortemente la direzione estetica del film. Paradossalmente risulta “poco sfruttata” nei contesti in cui avrebbe fatto un effetto maggiore: le uccisioni avvengono spesso off-camera, o comunque in momenti in cui le baby face non sono chiaramente visibili. Malgrado la violenza grafica sia abbastanza moderata, l’impatto sul grande schermo è forte, anche grazie alla colonna sonora martellante.

Il nuovo lavoro di Korine, coerente successore dell’altrettanto sperimentale Aggro Dr1ft, sembra voler alludere (in modo lisergico, volatile) a temi come l’esposizione alla violenza nei prodotti d’intrattenimento, e soprattutto al rapporto con la tecnologia e i nuovi media. Oltre alle baby face dei criminali (rese magnificamente, con tanto di continui glitch) nel corso del “gioco” vengono usate skin e avatar anche per le vittime: una scelta “deumanizzante” che sembra indurre a una riflessione sull’utilizzo dei filtri nelle piattaforme social.

Proporre una valutazione critica di un film come Baby Invasion è complicato. Ma questo non è un film, avverte una scritta in sovraimpressione, questo è un gioco. Si corregge poi: questo non è un gioco, questa è la realtà. E ancora la realtà non esiste: esiste solo l’adesso. Metacinematografico, aggressivo, eversivo: questo è Harmony Korine, che lo si ami o lo si odi.

Sara Boero

PRO CONTRO
  • L’estetica iconica delle gang: un potenziale cult.
  • L’esperienza di visione di un modo di fare cinema sperimentale e unico nel suo genere.
  • L’estremismo antinarrativo (non cerca un “compromesso” come nel caso di Spring Breakers).
  • È un film “fisicamente impegnativo”, che mette a dura prova la resistenza di occhi e orecchie.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Baby Invasion: l’ultima follia di Harmony Korine. La recensione da Venezia81, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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