Biancaneve, la recensione del remake live-action Disney

Quando nel 1937 uscì al cinema Biancaneve e i sette nani si stava facendo la Storia del cinema. Quella con “S” maiuscola. Si trattava, infatti, del primo lungometraggio d’animazione nonché primo Classico Disney, un’opera che conquistò immediatamente un posto speciale nel cuore di critica e pubblico, grandi e piccini, e che fece guadagnare a Walt Disney uno speciale Oscar Onorario (unico nella storia del Premio) due anni dopo l’uscita del film.

Oggi ricordiamo giustamente Biancaneve e i sette nani come un capolavoro, un film seminale che ha dettato le coordinate per lo sviluppo di una tecnica ben precisa, segnando anche la nascita di un genere cinematografico. Da allora i classici d’animazione Disney sono arrivati a quota 63 (l’ultimo, nel momento in cui scriviamo, è Oceania 2) e la fiaba dei Fratelli Grimm Biancaneve è stata adattata innumerevoli volte, anche in versioni parecchio audaci destinate a un pubblico adulto.

Dopo quasi 90 anni, la Disney ha ritenuto che i tempi fossero maturi per riprovarci, stavolta trasformando quel primo indimenticabile Classico d’animazione in un film con attori in carne ed ossa. Arriva così Biancaneve, dopo una genesi parecchio travagliata che ha portato a riscritture e una lunga post-produzione, nonché assurde polemiche razziste ormai all’ordine del giorno tra i numerosi haters della casa di Topolino.

Biancaneve

Nata durante una tempesta di neve, a cui deve il suo nome, la gioiosa e gentile principessa Biancaneve rimarrà presto orfana di madre e vedrà salire al trono, al fianco di suo padre, una matrigna tanto bella quanto crudele che nasconde incredibili abilità magiche. Partito per la guerra senza fare più ritorno, il Re lascia Biancaneve in affido alla Regina matrigna che relega però la ragazza al ruolo di sguattera, facendo presto perder memoria ai sudditi della sua presenza.

La Regina è ossessionata dalla bellezza, di cui è indiscussa detentrice, e quando apprende dal suo specchio magico che Biancaneve ambisce a superarla, decide di far uccidere la ragazza da un cacciatore. Quest’ultimo, però, non ha il coraggio di compiere il gesto e lascia fuggire Biancaneve che trova rifugio in una casetta in mezzo al bosco dove abitano sette piccoli minatori. Ora la Regina è su tutte le furie e sguinzaglia i suoi uomini alla ricerca dell’unica donna capace di scalzarla dal trono e mettere in secondo piano la sua bellezza.

Biancaneve

Dopo novant’anni era inevitabile che qualcosa nella storia del Biancaneve disneiano cambiasse, si adattasse ai tempi per rincorrere la sensibilità contemporanea. Ed è altresì normale che il passaggio da un cartone animato del 1937 a un film live action del 2025 comportasse un arricchimento narrativo, la ricerca di una maggiore caratterizzazione dei personaggi per scagionarli dalla bidimensionalità archetipica di una fiaba. E così è stato perché nel film scritto da Erin Cressida Wilson (Secretary, Chloe – Tra seduzione e inganno, La ragazza del treno) e diretto da Marc Webb (500 giorni insieme, The Amazing Spider-Man) c’è un prologo, c’è un arricchimento della mitologia e del contesto e soprattutto c’è un risvolto – che si trasforma in epilogo – mirato a perseguire un obiettivo ben preciso, ovvero donare una chiave di lettura più complessa e moderna alla fiaba.

Tutto questo è indubbiamente positivo, è il modo più professionale e maturo di condurre un adattamento per parlare a un’audience che non è rimasta ferma agli anni ’30 del ‘900. Vuol dire creare un background ai personaggi, muoversi in direzione di un world building, intercettare e guidare specifici bias. In pratica è l’abc dello storytelling. E il team che sta dietro Biancaneve lo fa indubbiamente bene, soprattutto nel momento in cui si viene a creare la necessità di trasformare Biancaneve nello spiraglio di un Regno sotto lo scacco della dittatura.

Biancaneve

C’è un sottotesto politico, infatti, in Biancaneve che trova un perfetto equilibrio nella dicotomia tra la giovane principessa e la tirannica matrigna, un modo per raccontare tutto quello che gravita attorno a loro e che non è solamente una gara di bellezza o la ricerca del vero amore.

Quello che però la Disney fa male, a tratti malissimo, nella sua esasperante deriva votata all’inclusività e al famigerato “politicamente corretto” è incartarsi malamente in scelte che dovrebbero accontentare tutti e invece finiscono per scontentarne la maggior parte. Ovviamente non parliamo della scelta di Rachel Zegler nel ruolo di Biancaneve che ha fatto insorgere i forcaioli del web, lei ci sta bene in quel ruolo, sa cantare come è richiesto da un musical ed è anche una brava attrice; parliamo piuttosto di quei piccoli e grandi cambiamenti dal canone che si prestano ad essere malamente fischiati.

Biancaneve

Nella società avvolta nella bambagia del 2025 è impensabile che il Cacciatore redento – nonostante abbia il nome che lo qualifica: CACCIATORE – uccida un cinghiale per ingannare la Regina con il suo cuore e così nello scrigno mette una… mela. Annullando di fatto il vantaggio che originariamente dovrebbe avere Biancaneve mentre la sua carnefice la crede morta.

Altro punto critico: i nani. Ma guai a chiamarli nani perché qualcuno potrebbe offendersi e così, nonostante si sia optato per rendere i sette identici alla controparte animata con una grottesca CGI, si tratta di creature centenarie che hanno anche non ben specificati poteri fatati. Ah, per la cronaca, Cucciolo – che tutti sappiamo essere il nano con disabilità intellettiva – qui è affetto da una sorta di mutismo selettivo. Ma attenzione! Durante la produzione di Biancaneve, quando è emerso questo dettaglio sui nani non nani che sarebbero stati realizzati in CGI, l’attore Peter Dinklage – noto per essere stato Tyrion Lannister ne Il Trono di Spade – ha sottolineato che se Hollywood toglie ad attori come lui parti che solo loro possono interpretare, è un grosso problema. E allora si è venuta a creare la (non) necessità di inserire in corso d’opera una sorta di “allegra brigata” in stile Robin Hood che vive nel bosco circostante al castello composta da un gruppo multietnico e paternalista di persone, tra i quali un vero nano (l’attore George Appleby), assolutamente inutile per l’economia narrativa dell’opera.

Queste cose fanno male alla Disney, minano quella credibilità che ha avuto per decenni, creano malcontento nel pubblico dando manforte ai sabotaggi pilotati verso la major e gettano anche un manto di ridicolo su operazioni altrimenti dignitosissime come appunto è Biancaneve.

Biancaneve

Oculata e narrativamente vincente, invece, la scelta di sostituire il principe con uno scaltro ladruncolo (il leader della brigata dei boschi di cui sopra) interpretato da Andrew Burnap che, a differenza della nobile controparte, ha una personalità, un background ed è anche simpatico, ma soprattutto è un cambiamento che non influenza minimamente gli esiti della storia originale.

Ma veniamo al vero grande centro di Biancaneve: la Regina cattiva. Parliamoci chiaramente, Grimilde è sempre stato il personaggio migliore di qualsiasi Biancaneve sia stato realizzato, a cominciare proprio dal classico del 1937. E nel film d’animazione si aveva la sensazione che ci fosse poco spazio per quel magnifico personaggio. Finalmente ora Grimilde, con quel look tanto austero quanto sensuale, ha uno screentime adeguato e a darle volto e corpo è Gal Gadot, ovvero la migliore scelta che si potesse fare. La ex Wonder Woman è una Regina cattiva perfetta, tanto nel look quanto nel modo di approcciarsi al personaggio, con momenti di fervente malvagità (la trasformazione in vecchietta) e ambigua sensualità. Inoltre, appartiene proprio alla Regina di Gal Gadot uno dei migliori numeri musicali inediti. Perché così come il film d’animazione, anche questo live action è pieno zeppo di parentesi musical, alcune riprese direttamente dall’originale, altre nuove di zecca, con un lavoro generale decisamente riuscito e mai invadente, anche nei cambiamenti apportati.

Biancaneve

Biancaneve di Marc Webb si assesta, dunque, nella media qualitativa dei remake live action della Disney con i soliti alti e bassi. Se leggete su note testate internazionali che si tratta del “miglior remake etc. etc.” diffidate perché è palese che opere come Cenerentola di Kenneth Branagh, Il libro della giungla e Il Re Leone di Jon Favreau gli sono dieci spanne superiori (per non parlare dello stand-alone villain-ista Crudelia): Biancaneve 2025 presenta problemi, soprattutto nella necessità di rincorrere quella tendenza all’inclusività esasperata e assolutamente non richiesta. Ma è anche vero che il lavoro sullo svecchiamento e completamento narrativo c’è e a tratti è molto buono, così come tutto il comparto tecnico è di livello altissimo con vere e proprie punte raggiunte dagli effetti visivi e le scenografie che omaggiano maniacalmente il Classico d’animazione.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Arricchisce narrativamente il Classico d’animazione di cui è remake con un background ben pensato e uno sviluppo dei personaggi.
  • Nel complesso è un prodotto tecnicamente molto dignitoso.
  • Gal Gadot nel ruolo della Regina.
  • Cercare di essere corretto verso ogni categoria spinge verso delle preoccupanti derive di ridicolo.
  • I “nani” in CGI son brutti assai.
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