Broken Rage: le due facce di Takeshi Kitano. La recensione da Venezia81

Un sicario (Takeshi Kitano) incaricato di far fuori dei target da uno misterioso boss, viene catturato dalla polizia e costretto a spiare un altro boss…

Takeshi Kitano è ormai di casa a Venezia, fin dal 1997 anno in cui vinse il Leone d’Oro con Hana-bi, il regista giapponese ci ha abituato a storie intense, intrise di crudeltà e riflessioni sulla società, l’onore e la morte, seppur con una dose di velata ironia.

Giunto alla boa dei settantasette anni, con Broken Rage il regista giapponese sembra scrollarsi finalmente di dosso un po’ della responsabilità che negli anni si era visto attribuire nei confronti di “un certo tipo di cinema” e recupera la sua esperienza da comico, confezionando in 62 minuti un film che rappresenta, in un certo senso, la sintesi della sua arte e della sua anima, ma… senza esagerare.

L’ambiente in cui ci muoviamo è ancora una volta quello della yakuza e il protagonista, interpretato dallo stesso regista, è un sicario esperto, che conduce una vita frugale, uccidendo al soldo del misterioso boss senza volto “M”. Si reca ogni giorno nello stesso bar e ogni giorno il proprietario del locale gli porge una busta con i riferimenti del nuovo bersaglio (e l’offerta di un caffè che viene sistematicamente rifiutato).

Una ritualità mostrata allo spettatore con una meticolosa ripetitività che sembra apparentemente senza scopo, salvo che ad un certo punto il film ricomincia e ci racconta la stessa cosa, ma in modo diverso. Il sicario è lo stesso, c’è sempre il boss M e sempre il locale con il barista che offre il caffè che viene rifiutato, il sicario viene sempre catturato dalla polizia, ma tutto accade secondo le regole e i ritmi di un genere diverso.

Ecco che il sicario non ha più una mira infallibile, inciampa, l’interrogatorio della polizia è esilarante e le scelte del boss yakuza sono completamente nonsense. Nel cast, in tutte le versioni della storia, ritroviamo alcuni volti noti del cinema del regista, tra cui Nao Omori (Dolls, Outrage Coda, Kubi) e Tadanobu Asano (Zatoichi, Kubi), quest’ultimo ormai noto al grande pubblico anche grazie alla serie televisiva Shogun.

Broken Rage è l’occasione di ripercorrere la narrativa su cui ha costruito la sua carriera di regista, ma tornando alle origini professionali di comico manzai. Stiamo sempre guardando Kitano, ma nelle sue due facce, c’è il Kitano della saga di Outrage e c’è quello che nel 1986 ha ideato il delirante Takeshi’s Castle (andato in onda anche in Italia in forma tagliata e rimontata all’interno di Mai dire Banzai). Un’occasione per ridere, ma anche per riflettere sull’idea che abbiamo -come appassionati- del tipo di opera che secondo noi dovrebbe rappresentare la summa della carriera di un autore.

Broken Rage insegna che a volte niente ci aiuta a esprimere meglio noi stessi della sintesi e della semplicità.

Susanna Norbiato

PRO CONTRO
  • Per gli amanti del comico demenziale è una chicca.
  • Da vedere per i fan di Kitano.
  • Un film particolare, direi strettamente per appassionati e per chi ama il genere.
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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