Conclave, la recensione

Il modo come il Cinema guarda la Chiesa è sempre stato abbastanza controverso perché filtrato dalla lente di autori che, probabilmente, con la Chiesa non sempre hanno avuto un rapporto idilliaco. Per lo più, dunque, la Chiesa sul grande schermo è oggetto di critica, spesso satira, raccontata per quelle idiosincrasie che storicamente hanno fatto perdere credibilità a una delle Istituzioni storiche dell’umanità, livellandola allo stesso piano di organismi che hanno sostituito la propria autorevolezza con l’autorità. Ma gli esempi migliori di Cinema che parla della Chiesa, anzi, dei suoi umanissimi esponenti, arriva proprio quando il confine tra sacro e profano cade e la “gente di Chiesa” è descritta in tutta la fragilità e la caducità del caso, perfino chi è simbolo in terra della Divinità, il Papa. Così, tra le dissacranti e irresistibili descrizioni papali di Moretti e Sorrentino, oggi va ad aggiungersi un ritratto del Vaticano decisamente più oscuro ma ugualmente votato a inserire la carica papale in una dimensione terrena, raccontando la lotta per il potere che si nasconde dietro l’elezione di un Papa. Esce nei cinema il 19 dicembre distribuito da Eagle Pictures Conclave.

Papa Gregorio XVII è morto, stroncato da un attacco di cuore. Ora la “sede è vacante” e bisogna istituire il conclave per nominare il nuovo Papa. Il cardinale e decano Thomas Lawrence guiderà il conclave e i candidati più in vista sono quattro: il liberale Aldo Bellini, che sembra la scelta più in linea con il defunto Papa, il conservatore tradizionale Joseph Tremblay, il conservatore sociale Joshua Adeyemi e il tradizionalista (e reazionario) Goffredo Tedesco. Ma a sorpresa si presenta anche Vincent Benitez, sconosciuto ai più, missionario di origini messicane nominato segretamente dal Papa come arcivescovo di Kabul. Le votazioni sono aperte e la corsa per il papato è ben più complessa di quello che inizialmente chiunque al Vaticano si sarebbe aspettato.

La prima cosa che viene alla mente mentre si sta guardando Conclave è la spietata lotta per il potere che caratterizza la politica, fatta di colpi bassi, scandali, attacchi personali e ripicche; ed è proprio in quella direzione che guarda il film che Edward Berger ha tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris, anche se il modo avvincente e spietato con cui è descritto il conclave non può che rammentare la corsa alla Casa Bianca di House of Cards o la guerra per la conquista di Westeros de Il trono di spade.

Conclave, infatti, racconta un episodio che periodicamente si ripresenta da una prospettiva che solitamente non viene presa in considerazione da chi è esterno a queste dinamiche, mettendo alla berlina le situazioni che si innescano per l’elezione della massima carica di Stato. C’è ben poco di divino, dunque, ma un mors tua vita mea tra i vescovi e i cardinali che si riuniscono al Vaticano, sviluppato da Berger con il linguaggio del cinema thriller.

L’occhio dello spettatore va a coincidere con quello del cardinale Lawrence, magnificamente interpretato da un Ralph Fiennes in odore di nomination agli Oscar; un occhio che dovrebbe essere agevolato, quasi onnisciente sui fatti che si stanno svolgendo al Vaticano ma che, in pratica, è ben più viziato e fallace del previsto. Quello che sembrava un conclave da veloce fumata bianca si presenta come una vera e propria spaccatura all’interno del consiglio, con posizioni nette tra conservatori e liberali, tra chi vorrebbe riportare la Chiesa a quell’autorità e austerità di un tempo e chi invece preferisce un’apertura alla contemporaneità, a percorrere quella strada liberale già intrapresa dal Papa deceduto.

Da una parte c’è l’italianissimo Cardinale Tedesco, interpretato da un Sergio Castellitto perfetto per il ruolo, dall’altra c’è lo statunitense Bellini che ha il volto accomodante (ma neanche troppo) di Stanley Tucci. In mezzo a loro Thomas Lawrence, spaesato, sempre più indeciso, che si fa carico di una responsabilità che svolge con dovere ma che non sente appartenergli. E il modo il cui il personaggio di Lawrence ammette ad un certo punto il fallimento di tutta l’impalcatura che lo circonda è la chiave di volta di quella volontà di mostrare la Chiesa molto più radicata all’umano che al divino, nonostante quel momento fondamentale del terzo atto il cui un raggio di luce che proviene dall’esterno sembra letteralmente il deus ex machina dell’intera vicenda.

Con una costruzione narrativa particolarmente avvincente, vicina appunto ai ritmi serrati e alle atmosfere dark del thriller, Conclave affronta anche temi di una certa rilevanza sociale a cominciare dal ruolo della donna nella Chiesa, ma riesce con una scaltrezza affatto scontata a dribblare ogni scomodo ostacolo che potesse portare la storia negli oscuri meandri del “politicamente corretto”, gettando, al contrario, una coltre oscura e ambigua sull’argomento generando domande invece che dare risposte. Era già tutto sul romanzo di Harris, ma la sceneggiatura di Peter Straughan (L’uomo che fissa le capre, La talpa, Frank) e la regia di Berger – che ricordiamo come artefice del bellissimo war-movie premio Oscar Niente di nuovo sul fronte occidentale – sanno valorizzare.

A tal proposito, un grande merito della riuscita di Conclave va anche all’aspetto estetico, rigoroso e incredibilmente elegante, avvalorato dalla fotografia di   Stéphane Fontaine e, non di meno, dal perfetto accompagnamento musicale di Volker Bertelmann.

Conclave è quel film che non ti aspetti entrando in sala, un’opera tanto bella allo sguardo quanto intelligente nei contenuti, che non si pone come “solita” critica alla Chiesa ma cerca di aprire una discussione su temi e ruoli, utilizzando però il linguaggio del cinema d’intrattenimento.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Gli interpreti, tutti, a cominciare da Ralph Fiennes.
  • Il ritmo avvincente.
  • Il finale spiazzante.
  • L’intelligenza con cui si interroga su alcuni temi di rilevanza sociale.
  • Uno spiraglio alla dimensione mistica, sul finale, che potrebbe deviare l’attenzione dello spettatore e confondere.
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