Cuori puri, la recensione

Puro come sinonimo di incontaminato, genuino, pulito, qualcuno o qualcosa che non è venuto a contatto con elementi estranei. Puro come la verginità di un corpo o come un parcheggio che non deve essere violato. Cuori Puri, esordio di Roberto De Paolis presentato alla Quinzaine di Cannes, è una multiforme ricerca giovanile di questa purezza.

Agnese e Stefano appartengono a due realtà che si potrebbero definire banalmente agli antipodi: lui, 25 anni, lavora come custode in un parcheggio ed è scappato da una situazione famigliare difficile; lei, 18 anni, vive con una madre intransigente che dedica tutta la sua vita alla Chiesa.

L’opera prima di De Paolis non avvicina il “puro” al concetto di positivo ma anzi lo ritiene estremamente complesso e problematico. Per rimanere puri bisogna essere protetti, ma protetti da chi? Dall’altro, ovviamente.  Il regista sceglie la periferia romana come ambiente per estremizzare conflitti e criticità sociali. Per più di metà pellicola, il racconto è una relazione tra due mondi divisi da un rete metallica di un campo rom. Dopo un déjà vu cinematografico (Fiore di Claudio Giovannesi ), vediamo Stefano cacciare i rom dal parcheggio a cui fa da guardiano mentre Agnese aiuta la madre con l’accoglienza dei profughi.

I due protagonisti sembrano vagare più che percorrere un cammino verso una meta o uno scopo: i loro sono dialoghi di giovani perduti in cui non si contano i “Boh” “Niente” “Non lo so” come risposte. È quasi frustante vedere Agnese e Stefano non sapere con chi prendersela per la loro sorte. Intorno a questo pedinamento dall’aspetto pseudo-documentaristico, il regista colloca tutte le tematiche della pellicola; probabilmente, ci sono tre o quattro sceneggiature all’interno di Cuori Puri eppure le tante riflessioni portate avanti hanno come punto d’incontro/scontro la purezza del titolo.

«Beati i puri di cuore perché vedranno Dio». La chiesa mostrata dal film è duplice: ha l’aspetto del divertente prete filosofo interpretato da Stefano Fresi ma anche quello di una madre devota che plasma la vita di Agnese in rapporto alla religione, dalla buonanotte alla canzone di buon compleanno. La fede è la campana di vetro di Agnese, e ciò che la tiene al sicuro, con il corpo e con la mente. Nonostante questo, la ragazza si sente rinchiusa in uno stato imposto dalla madre e dalla società in cui i limiti diventano facilmente degli obblighi, dei consigli dei tormenti incomprese. La verginità, tema centrale della pellicola, è strettamente legata alla paura primordiale dell’altro. Anche Stefano desidera rimanere puro: questa volta però non si tratta di una castità fisica ma di una purezza sociale che coincide con l’indipendenza e la realizzazione personale. Stefano ha paura di diventare come suo padre, come i suoi amici, o peggio come i suoi vicini rom.

Tutti i dialoghi legati ai problemi contemporanei dei profughi hanno la terribile potenza del chiacchericcio da bar, quelle parole che sono sempre le stesse (spesso dette senza pensare) che generano malcontento, paura e violenza. Virando verso il documentario e il pedinamento dei personaggi, De Paolis raggiunge il difficilissimo compromesso tra fiction e non fiction, merito anche di una regia che lascia spesso improvvisare attori e operatore con movimenti completamente liberi e luce naturale.

L’ottima chimica tra Selene Caramazza e Simone Liberati è affiancata dalle performance di grandi attori come Barbora Bobulova (scene inquietanti che ricordano la madre di Carrie), il già citato Stefano Fresi e Edoardo Pesce.

Il rapporto tra Agnese e Stefano non è particolarmente approfondito o motivato perché nasconde quel sentimento quasi magico in cui curiosità di conoscere l’altro e desiderio sono gli unici ideali da perseguire.

In una struttura perfettamente circolare, il film si apre e si chiude con una corsa, un moto frenetico verso l’altro, uno sconosciuto che potrebbe farci mettere in discussione tutto. E non è colpa di nessuno (né della Chiesa né degli stranieri) se non riusciamo a mantenerci saldi e fermi con i nostri cuori perché solo mostrandoci impuri e imperfetti potremmo finalmente dare un bacio a qualcuno impuro esattamente come noi.

Matteo Illiano

PRO CONTRO
  • Un esordio magistrale grazie a una storia contemporanea, difficile e delicata.
  • Sceneggiatura di ferro, dialoghi e silenzi studiati.
  • Cast impeccabile, dalla coppia protagonista agli attori secondari.
  • Sovraffollamento di tematiche.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Cuori puri, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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