David Lynch: un cinema che va oltre

Il 15 gennaio 2025 la settima arte ha perso uno dei suoi figli prediletti. A causa di un enfisema che l’aveva ormai recluso in casa, David Lynch ci ha lasciati a 78 anni.
La carriera del regista americano non è stata tra le più prolifiche a livello di numeri ma sicuramente lo è stata su un livello di varietà e diversità dei progetti:10 film, 3 serie tv, 2 documentari e una lunghissima serie di cortometraggi.
Una vita che sembrerebbe dunque essere dedicata più che a un ritorno economico del proprio lavoro a una ricerca personale e alla messa in scena di una propria visione senza compromessi. La filmografia di Lynch viene spesso definita “onirica” in quella che è un’interpretazione giusta ma oltremodo sommaria delle opere del regista americano. Se gli elementi onirici sono sì molto presenti all’interno delle sue opere, essi non sono altro che la somma di un lavoro più complesso che mira a un obiettivo più ampio: scardinare le strutture del cinema.
Lynch è stato uno dei massimi esponenti del cinema post-moderno e se da un lato registi esponenti di questo periodo storico, come Quentin Tarantino, hanno fatto del citazionismo ai grandi classici la loro chiave di lettura, Lynch si è mosso in una direzione differente: di fronte all’impossibilità di rinnovare, non rimane che scomporre, esasperare e distorcere il mezzo per andare oltre al limite imposto dal già fatto, dal già visto.
Basta guardare agli esordi cinematografici di Lynch per comprendere come le intenzioni e le volontà del regista fossero già presenti anche nei primi film della sua carriera.
Oltre al commerciale Dune (1984), adattamento del romanzo di Herbert rifatto recentemente da Denis Villeneuve, Eraserhead (1977) e The Elephant Man (1980) sono i film meno lynchiani della sua carriera. Anche se in questi primi film sono già presenti molti elementi onirici e di messa in discussione della realtà, la vera svolta, che col senno di poi possiamo definire lynchiana, arriverà con Blue Velvet (Velluto blu, 1986). Da questa pellicola in poi il cinema di Lynch sarà segnato da tre elementi fondamentali e ricorrenti: la continua messa in discussione della realtà, sequenze oniriche e personaggi surreali.
Tutto ciò che viene dopo Blue Velvet è puro “cinema lynchiano” nella sua forma massima, un cinema estremamente complesso e di difficile lettura ma che ha comunque conquistato il cuore del pubblico. D’altronde la vera forza di Lynch è sempre stata l’incredibile capacità di farsi amare nonostante l’impenetrabilità. Il cinema di Lynch non è mai stato un cinema di facile lettura ma, nonostante ciò, ha acquisito negli anni grandi successi di pubblico e critica, capaci entrambi di cogliere il meglio e, per usare le parole dello stesso regista, perdersi nei suoi film.
Ed è proprio questa la chiave di lettura fondamentale delle sue opere, diceva Lynch stesso: “Mi piace fare film perché mi piace andare in un altro mondo. Mi piace perdermi in un altro mondo e i film per me sono un mezzo magico che ti fa sognare. Ti permettono di sognare nell’oscurità. Ed è semplicemente fantastico perdersi nel mondo dei film”. Questa visione di un sogno in cui perdersi, dei film come rifugio dal mondo reale è dovuta a una
delle maggiori ispirazioni del regista ovvero Il mago di Oz, come viene ampiamente spiegato e analizzato nel documentario Lynch/Oz (2022), in cui si spiega perché il film di Victor Fleming è un testo fondamentale per comprendere gran parte del suo lavoro.
La maggior parte dei personaggi di Lynch sono delle piccole Dorothy lontane dal loro Kansas, traghettati in una dimensione nuova e ostile si ritrovano a combattere le avversità di questo nuovo mondo riuscendo forse a tornare alla propria realtà. Jeffrey Beaumont in Blue Velvet o Rita in Mulholland Drive impersonificano appieno le caratteristiche di questo personaggio: sperduti e in pericolo si ritrovano catapultati in un mondo completamente diverso in cui i riferimenti vengono meno.
I personaggi di Lynch, oltre l’ispirazione letteraria, sono il perfetto simulacro dell’essere contemporaneo. Sembrano sempre sconnessi con il mondo reale e vengono meno i riferimenti e le direttrici sociali e le convenzioni del mondo reale. Spesso abbandonati a sé stessi, in balia di un mondo nuovo, i protagonisti di questi film incapsulano a pieno la condizione dell’uomo moderno. Questo shift tra il mondo vero e il mondo surreale di Lynch è sempre all’interno dei suoi film, ma ciò non avviene quasi mai in una maniera chiara che porti lo spettatore a capire quando e come avvenga questa transizione. Oltre ai già citati Blue Velvet e Mullholland Drive, il film manifesto di questa commistione tra Lynch, Oz e il post-moderno è sicuramente Wild at Heart (Cuore selvaggio, 1990). Chiaro ed evidente tributo d’amore al film del 1939, nel suo assurdo road trip Lynch scardina ogni convenzione narrativa e morale piegando al limite l’esperienza che lo spettatore aveva avuto sino ad allora con questo genere e con il film di Fleming. Un’opera che riprende temi, personaggi e paesaggi già noti al grande pubblico e li trasporta in un’atmosfera propria del regista.
La vera forza e il vero contributo che Lynch ha saputo dare al cinema risiedono proprio in questo lavoro, nella sua filmografia il film del 1990 con Nicolas Cage segna definitivamente il passaggio a un cinema che potremmo tranquillamente definire “dell’oltre”. I muri sono caduti, con essi anche le fragili definizioni di genere e continuità narrativa. Agendo in piena postmodernità, Lynch spinge il mezzo cinematografico inserito all’interno di un circuito industriale oltre il suo limite tecnico-commerciale; creando dei film-non film il regista sconvolge l’essenza stessa di quello che era il contenitore del mezzo cinema fino a quel momento.
Mullholand Drive del 2001 è in questo il massimo picco e il capolavoro assoluto di Lynch. Qui il sogno e il potere che questo ha di rielaborare la realtà attraverso l’inconscio costituiscono una grande parte dello sviluppo del film. Qui il regista riesce a mischiare perfettamente quel sentore di Oz con la protagonista Rita, sperduta in mondo di cui non ricorda niente; le sequenze oniriche e la messa in scena priva di riferimenti chiari e solidi. Una fusione perfetta tra realtà e sogno in cui il linguaggio onirico e quello cinematografico diventano entrambi una rielaborazione del vissuto.
Nei suoi 40 anni di carriera, Lynch è riuscito in un’impresa unica e impossibile: entrare nel cuore degli spettatori con film complessi e lontani dalle dinamiche di mercato. I film di questo artista hanno insegnato a noi pubblico a vedere i sogni e la realtà come riflessi oscuri e profondi gli uni dell’altra. Costruendo, scrivendo e realizzando una filmografia unica che ha piegato i limiti del cinema alla sua volontà e mai il contrario. Nessun regista è perfetto, tanto meno lo sono i suoi film ma Lynch ha saputo smussare le imperfezioni che il mezzo cinematografico imponeva alle sue opere a un livello tale da creare film capaci di andare oltre, di superare il concetto stesso di che cosa fosse un film. Un’eredità difficile da superare che lascia inevitabilmente un vuoto incolmabile nella storia del cinema.
Emanuele Colombo
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