Death of a Unicorn, la recensione

Fino al Medioevo, l’Unicorno era considerato un animale reale e veniva catalogato all’interno dei Bestiari, poi escluso dai manuali di scienza naturalistica solo nel corso del XIX secolo. Ovviamente era molto “difficile” imbattersi in questo possente cavallo bianco con un unico corno a spirale nel centro della fronte che – si raccontava – potesse essere domato solo da una vergine. Si diceva, inoltre, che il suo corno avesse facoltà anti-venefiche e per questo si tramandava che presso le dinastie reali europee veniva solitamente custodita una coppa realizzata con corno di unicorno per scongiurare che il regnante ingerisse una bevanda avvelenata. Addirittura, nell’inventario del tesoro di Papa Bonifacio VIII del 1295, veniva riportata menzione, per la prima volta nella documentazione papale, di “quattro corne di unicorni, lunghe e contorte utilizzati per fare l’assaggio di tutto ciò che era presentato al papa”.
Ma se il mondo delle favole e l’universo fantasy (per famiglie) è stato spesso terreno di galoppo per fieri unicorni, fino all’elezione di questa creatura a mascotte per il movimento LGBT, in quanto essere singolare e privo di contorni univoci, stranamente nessuno sceneggiatore aveva trasformato l’unicorno in temibile bestia assassina di un film horror. Certo, c’era stata una bizzarra comparsata in quel gioiellino di Quella casa nel bosco (2011) di Drew Goddard, ma protagonista mai. A colmare questa lacuna ci pensa l’esordiente regista Alex Scharfman che utilizza le ferree dinamiche di un beast-movie per la fanta-commedia horror targata A24 Death of a Unicorn.
Elliot Kintner e sua figlia Ridley sono in viaggio verso la tenuta di Odell Leopold, dove Elliot dovrà fare da esecutore testamentario per le volontà di Odell, malato di cancro in stato avanzato. Ma nei pressi della tenuta, un attimo di distrazione porta Elliott a investire un animale che attraversa la strada e quell’animale, nella sorpresa dell’automobilista di sua figlia, è un… unicorno! Caricato l’animale morto sulla macchina e raggiunta la casa dei Leopold, Elliott non fa menzione dell’incidente, ma al calare della notte, mamma e papà unicorno raggiungono la tenuta per recuperare il corpo del loro figlioletto e attuare una cruenta vendetta. Ma Odell scopre accidentalmente che il corno dell’animale ha proprietà taumaturgiche in grado di curare il suo cancro e per questo decide dare la caccia agli unicorni per capitalizzare sulla loro portentosa qualità.
Alex Scharfman sicuramente ha visto e (inevitabilmente) apprezzato L’orca assassina (1977) di Michael Anderson perché Death of a Unicorn lo ricorda, tanto nelle motivazioni che muovono l’istinto assassino dell’animale quanto nella volontà degli umani di sfidare la natura, chi pentendosi del gesto e chi di perseguire ostinatamente la caccia. Ma va subito messo in chiaro che Death of a Unicorn non ha la lirica drammaticità del film di Anderson ne vuole averla e non ha neanche la suspense e la tensione di un horror vero e proprio, bensì cerca costantemente di sottolineare l’aspetto camp, grottesco e paradossale dell’avere un unicorno come minaccia da beast-movie. Non siamo nei territori demenziali/splatter di un Black Sheep ma ci andiamo molto vicini, con una consapevolezza comica che cerca le note della commedia raffinata.
Alex Scharfman, anche sceneggiatore e produttore, cerca immediatamente la risata già nei primissimi minuti, riuscendoci, e sicuramente avere Paul Rudd come attore protagonista lo aiuta di molto. Ma più passano i minuti più Death of a Unicorn deve fare i conti con la singolarità della minaccia che è stata scelta, scavando nella mitologia di questa creatura e cercando di far collimare con naturalezza le sue caratteristiche fantasy con quello che poi si rivela un film horror. Il risultato è molto trasversale e complessivamente riuscito perché il film fa sorridere costantemente, in un paio di punti fa ridere di gusto, ma allo stesso tempo è a tutti gli effetti un beast-movie con animali killer che si accaniscono sugli umani/carne da macello nel modo più cruento e fantasioso possibile, ovviamente utilizzando il corno come arma di offesa prediletta.
Momenti d’azione concitata si uniscono a scene splatter e cercano di dare un senso a elementi narrativi fantasy come vergini con poteri di premonizione e la ricerca della vita eterna. Alla fin fine, Death of a Unicorn è un film più bizzarro/curioso che bello, ma proprio questa sua bizzarria, lo rende fortemente caratteristico e memorabile. Insomma, siamo in quei territori da instant-cult servito su un vassoio d’argento.
Variopinto ed efficace il cast che a Paul Rudd affianca Jenna Ortega, nel ruolo di Ridley, ragazzina introversa, sensibile e intelligente in perfetta continuità con i personaggi di Mercoledì Addams e Astrid in Beetlejuice Beetlejuice, e Will Poulter nei panni di Shepard Leopold, esilarante “villain” che spalleggia il genitore interpretato dal sempre ottimo Richard E. Grant. È invece Téa Leoni a impersonare Belinda, diplomatica e un po’ falsa moglie di Odell e madre di Shepard. Tutti e tre, questi ultimi, offrono una efficace satira della famiglia alto-borghese arricchita e schiava della propria ambizione, che porta ad annullare completamente ogni moralità.
Peccato per gli effetti visivi non sempre all’altezza, forse sarebbe stato più saggio mostrare gli unicorni il meno possibile, invece Death of a Unicorn ne fa bella mostra fin da subito.
Death of a Unicorn arriverà nei cinema italiani il 10 aprile 2025 distribuito da I Wonder Pictures.
Roberto Giacomelli
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