Elio, la recensione del film Pixar

Elio è un bambino di 11 anni che, da quando ha perso entrambi i genitori, vive la propria esistenza sulla Terra come fosse una prigione: non ha amici, nessuno che possa capire davvero come si sente, e l’unica persona che sembra accorgersi di lui è la zia adottiva Olga, una Maggiore dell’aviazione americana con cui il bambino ha un rapporto conflittuale.
Elio passa le sue giornate a guardare le stelle, vorrebbe solamente volare nello spazio profondo, tra le galassie e i pianeti, nella speranza di trovare qualche forma di vita amica così come un luogo lontano da poter chiamare davvero casa. Quando costruisce per gioco un dispositivo a radiofrequenza per mettersi in contatto con gli alieni – con la limpida richiesta di farsi rapire – Elio riesce davvero ad intercettare forme di vita extraterrestri. Viene pertanto prelevato da una nave spaziale e portato nel Comuniverso, un’organizzazione pangalattica che ospita tutte le forme di vita più evolute.
Il bambino viene accidentalmente scambiato per l’ambasciatore della Terra e così, adesso, può finalmente riscattare tutti i suoi sogni apparentemente impossibili. Ma la felicità è un sistema complesso e così, poche ore dopo l’arrivo di Elio nel Comuniverso, questo viene invaso dallo spietato Lord Grigon, capo supremo di una razza aliena votata alla guerra e che desidera prendere il comando di tutta quell’organizzazione pangalattica.
Adesso spetta proprio ad Elio provare a salvare l’universo e potrà farlo grazie all’aiuto del suo primo ed unico amico, Glordon, figlio di Lord Grigon, un giovanissimo alieno dall’aspetto vermiforme che vorrebbe solo qualche amichetto con cui giocare anziché diventare una macchina da guerra come vorrebbe suo padre e come previsto dalla sua razza.
Da un po’ di tempo a questa parte, diciamo dal 2018 in poi per individuare una data più precisa, ogni volta che giunge al cinema un nuovo film a marchio Disney Pixar sentiamo ripetere da tutti a mo’ di mantra che quello appena arrivato in sala non è altro che un film minore della Pixar.
Gli Incredibili 2 di Brad Bird, nonostante fosse il sequel di uno dei primi grandissimi successi della Pixar, era indiscutibilmente un film minore dello Studio. Ma minori lo erano anche Onward – Oltre la magia di Dan Scanlon, Luca di Enrico Casarosa, Red di Domee Shi, Lightyear – La vera storia di Buzz di Angus MacLane ed Elemental di Peter Sohn. Forse solo Soul di Pete Docter è riuscito nell’impresa di lasciare una maggior traccia di sé ma è altresì innegabile che lo stesso Soul svanisce in un nanosecondo se paragonato a qualsiasi capolavoro animato prodotto dallo Studio nei suoi primi vent’anni d’attività.
Una serie di film minori inanellati uno dietro l’altro ha spinto molti, compreso il sottoscritto, a leggere un momento di forte crisi creativa all’interno dello studio d’animazione e a lanciare una sorta di S.O.S. verso un cinema d’animazione che sembra aver smarrito completamente la rotta.
La crisi creativa c’è ed è reale in casa Pixar, è sotto gli occhi di tutti, ma c’è da dire che dopo vent’anni ininterrotti di film che hanno rivoluzionato il modo di intendere e concepire la moderna animazione è del tutto inevitabile nonché fisiologico un momento di calo creativo. Anche se andiamo ad analizzare la cronologia dei Classici Disney, ovvero di tutti quei film che hanno gettato le basi del moderno immaginario animato occidentale, possiamo individuare dei forti buchi creativi che hanno portato alla realizzazione di Classici che non hanno saputo lasciare granché traccia di loro: ad esempio l’intervallo produttivo che va dal 1943 al 1950 o, in modo ancora più incisivo, quello che si estende dal 2000 al 2013.
Diretto da Domee Shi (Red, 2022) e Madeline Sharafian, Elio si inserisce perfettamente in questa parentesi creativa della Disney Pixar senza preoccuparsi in alcun modo di dover smuovere la situazione. E dunque questa storia di crescita e accettazione del proprio essere, ma anche di amicizia e universale integrazione, si accontenta di avere la forma del filmetto che mira a fare solamente del buon intrattenimento senza avere l’ambizione – e la presunzione – di dover imprimere un modello che possa fungere da riferimento per tutte le produzioni future (dello Studio e non).
In linea con Red, il precedente film di Domee Shi nonché suo esordio nell’universo Pixar, anche in Elio tutto sembra voler ruotare attorno alla crisi d’identità del suo giovane protagonista. Elio, esattamente come Mei Lee, è un ragazzino che fatica a trovare il suo posto nel mondo, non si riconosce in tutto ciò che lo circonda e soprattutto non riesce a trovare un punto d’intesa con gli altri. In modo specifico è il mondo degli adulti a metterlo in crisi a causa di aspettative che non fanno altro che esercitare pressione, metterlo spalle al muro e renderlo ancora più infelice di quanto già non lo sia. Un concetto, quest’ultimo, che era perno centrale in Red e che in Elio torna con estrema prepotenza (traslato solo di genere) soprattutto nella bellissima storyline di Glordon, l’unico vero amico di Elio, un giovanissimo alieno che – come tutti i bambini – vorrebbe solo poter giocare ma deve fare i conti con il diventare adulto e adempiere alle aspettative del genitore.
Pur essendo il personaggio spalla, per certi aspetti l’elemento comico della storia, è evidente che l’anima di tutto il film è racchiusa proprio in Glordon. Nel momento in cui entra in scena il giovanissimo alieno dall’aspetto vermiforme, infatti, Elio prende davvero vita e la narrazione acquisisce finalmente quel cuore che fatica ad emergere in tutta la prima parte.
Da metà film in poi, Elio fa una cosa che da tempo riesce molto bene alla Pixar: portare avanti un discorso che vuole sottolineare con fermezza l’importanza vitale dell’infanzia nel ciclo evolutivo di un essere umano. E questa cosa non è affatto scontata. Un po’ come hanno fatto in quattro film Woody e Buzz nella saga di Toy Story, o come ci ha insegnato Bing Bong in Inside Out, riconoscere l’importanza dell’infanzia non è sufficiente. Quello che tutti dovremmo capire, in primis noi adulti, è l’inestimabile valore terapeutico del gioco.
Purtroppo, viviamo all’interno di una società che tende a sposare il punto di vista del perfido Lord Grigon, il villain di questa storia, ovvero quella convinzione che giocare sia un’attività frivola che spetta ai bambini e che il tempo del gioco è destinato a finire nel momento in cui si entra nell’età adulta, quella del lavoro. Una convinzione radicata nella nostra società (e non solo!) sin da sempre, totalmente errata e malata, perché equivale a voltare completamente le spalle al valore terapeutico, psicologico e pedagogico dell’attività ludica che deve interessare tanto i più piccoli quanto gli adulti (questi sia in qualità di esseri umani che di genitori a loro volta).
Anche se quello relativo al rispetto per l’infanzia e le sue peculiarità è senza dubbio l’aspetto di maggior interesse presente in Elio, c’è da dire che quest’ultimo film a marchio Disney Pixar presenta molte tematiche di riflessione. Persino troppe. C’è l’elaborazione del lutto così come il riconoscimento dei genitori non biologici, la difficoltà ad entrare in sintonia con il gruppo dei pari così come a riconoscersi in un sistema sociale che sembra essere solo ostile e tirannico, il valore incommensurabile dell’integrazione sociale e di un mondo multietnico ma anche la difficoltà a rispettare l’identità (e lo spazio) di ogni singola razza.
Tutto questo, ovviamente, fuso all’interno di una narrazione che si preoccupa di essere fedele anche al suo genere d’appartenenza (lo sci-fi) e che dunque viene condita con tantissimi richiami a certa fantascienza del passato e contempla citazioni a classici del genere come E.T. – Extraterrestre e Incontri ravvicinati del terzo tipo di Steven Spielberg, Explorers di Joe Dante, La Cosa di John Carpenter e l’immancabile colonna portante della fantascienza moderna che è L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel.
Qui nasce il primo problema di Elio, ovvero la voglia quasi bulimica di voler condensare all’interno di un racconto di appena 100 minuti troppi argomenti, troppe riflessioni, con l’inevitabile conseguenza che non tutte riescono a ricevere lo spazio che avrebbero meritato. La sceneggiatura del film, scritta a sei mani da Julia Cho, Mark Hammer e Mike Jones, è così densa e accelerata da essere caratterizzata da una stranissima ritmica interna. Vedendo Elio, infatti, si ha continuamente la sensazione che tutto stia andando troppo veloce, sacrificando persino situazioni e personaggi (lo stesso Elio è un protagonista che non arriva molto), ma al tempo stesso si ha la percezione che la storia impieghi troppo tempo ad entrare nel vivo del racconto. A raggiungere il suo focus, per dirla in modo più preciso. Una scrittura poco equilibrata, quasi come se fosse il frutto di tanti rimaneggiamenti, che vede come principale vittima la profondità del racconto, sia sotto il profilo meramente narrativo che sotto quello emotivo.
Ultimo ma non ultimo aspetto che ostacola la piena riuscita di Elio e che gli impedisce di entrare a testa alta tra i titoli memorabili partoriti dallo Studio è l’immaginario. Ma qui c’è da fare un discorso che si ricollega all’apertura di questo articolo e che contempla, dunque, tutta la recente produzione Pixar e non solo questo film diretto da Domee Shi e Madeline Sharafian.
Dal 2018 ad oggi infatti, dopo che lo Studio è riuscito a far piangere tutto il mondo con il bellissimo Coco (l’ultimo vero capolavoro a marchio Pixar), la Disney Pixar non è più riuscita a creare un immaginario interessante e originale. Sembra come se si fosse impigrita, per certi aspetti banalizzata, e lì dove non si è dovuta aggrappare a mondi preesistenti (alludiamo ai tanti sequel prodotti in questi ultimissimi anni) ha ostentato una notevole difficoltà a dare vita a mondi animati destinati a rimanere nell’immaginario collettivo.
Indagando il mondo oltre le stelle, l’intero universo così come quest’organizzazione pangalattica presieduta da specie aliene provenienti da ogni dove, Elio aveva la possibilità di genere un nuovo immaginario davvero originale e pronto a competere con gli universi animati di film come Toy Story, Cars, Alla ricerca di Nemo, Monsters & Co. o Inside Out (giusto per citarne alcuni). Tutto questo purtroppo non accade ed Elio si accontenta di portare in scena un immaginario basilare che sembra ergersi su quanto fatto da tanto cinema d’animazione che lo ha preceduto. E non ci riferiamo solamente alla Pixar.
Il mondo interstellare di Elio, infatti, sembra agguantare in modo poco fantasioso elementi da recenti film votati all’astrattismo e al concettualismo come i già citati Inside Out o Soul, ma possiamo scorgere suggestioni anche dallo Strange World – Un mondo misterioso di Don Hall e Qui Nguyen e persino da alcune produzioni competitive a marchio Dreamworks Animation. Non c’è reale fantasia dietro l’universo di Elio e nemmeno la voglia di provare a stupire con qualcosa di nuovo, un accontentarsi che si riflette sia sulle regole dell’universo creato che sul character design (davvero tanto pigro) di ogni singolo personaggio.
Ed è dunque questo l’aspetto che accomuna Elio a tutte le più recenti produzioni Disney Pixar, la difficoltà ostentata dai suoi autori a sognare e, di conseguenza, a far sognare gli spettatori.
Rattrista un po’ questa basilarità su cui si muove tutto l’immaginario di Elio perché se fosse stato fatto un lavoro più sottile e personale, Elio sarebbe potuto essere senza grosse difficoltà il miglior prodotto Pixar dai tempi di Coco.
Ma così non è stato e quindi Domee Shi e Madeline Sharafian devono farsi bastare di aver firmato solamente un buon film che sa intrattenere e divertire molto bene, che riesce a lanciare più di qualche spunto di riflessione importante ma che non ha la giusta forza e il giusto carattere per poter sopravvivere nel tempo e fare scuola.
A volte anche sapersi accontentare è una grande virtù, di questo ne siamo assolutamente certi, così come siamo anche sicuri che ad Elio bastava veramente poco per essere un gioiello e non semplicemente un buon film.
Giuliano Giacomelli
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