Entourage, la recensione
Il fenomeno, non più così raro, dell’adattamento cinematografico di fortunate serie tv ha colpito anche Entourage, serie di otto stagioni, creata da Doug Ellin e targata HBO, coronata da un ottimo riscontro di critica e una manciata di Emmy. Tuttavia Entourage non ha evidentemente riscosso, presso il pubblico, l’incredibile e rivoluzionario impatto che ha consacrato Game of Thrones o Breaking Bad, tanto per citare due titoli a caso. La scelta di portare i fratelli Chase e i loro inseparabili amici sul grande schermo, pertanto, lascia istintivamente perplessi, a maggior ragione se si ricorda che l’ottava stagione si è conclusa ben cinque anni fa.
Quale potrebbe essere, dunque, il senso di realizzare un lungometraggio tratto da un prodotto televisivo sostanzialmente di nicchia? Probabilmente la volontà di dar vita a un’operazione che possa viaggiare e funzionare su un doppio binario: regalare un revival, ma anche una degna conclusione, agli appassionati della serie e intrattenere i neofiti con un buon film. Chissà che poi questi ultimi, piacevolmente sorpresi e spinti dalla curiosità, non decidano di recuperare la lacuna catodica! Chi scrive appartiene alla seconda categoria di spettatori e non è pertanto in grado di affermare se il film funzioni rispetto al primo livello cui si accennava. Possiamo però soffermarci sulla ragion d’essere di Entourage come commedia a sé stante.
Il divo hollywoodiano Vince Chase (Adrian Grenier) sta festeggiando la fine del suo matrimonio lampo su uno yacht in compagnia di una massiccia quantità di ancheggianti e succinte modelle e degli inseparabili Eric (Kevin Connolly), Turtle (Jerry Ferrara) e Drama (Kevin Dillon). Una telefonata del suo agente Ari Gold (Jeremy Piven), che lo contatta per offrirgli il ruolo da protagonista in un blockbuster, gli fa venire in mente un’idea per dare una concreta svolta alla propria vita, professionale e non: sarà anche il regista il film! L’inesperienza dietro la macchina da presa, però, lo lascerà al verde prima della fine della post produzione. Ari dovrà quindi ingegnarsi per convincere i finanziatori texani (tra cui il redivivo Haley Joel Osment, irriconoscibile protagonista de Il sesto senso) a scucire altri 15 milioni di dollari, innescando una serie di improbabili e potenzialmente disastrose conseguenze…
Entourage racconta il mondo di Hollywood, futile e votato all’eccesso, attraverso una confezione patinata e scintillante, un ritmo dinamico e un intreccio semplice e brillante. La regia di Doug Ellin è opulenta e frenetica, metafora della routine di chi succhia fino all’ultimo sorso e senza vergogna il fantomatico sogno americano. Teatro delle peripezie del chiassoso gruppo di protagonisti è infatti un promiscuo e incurante microcosmo fatto di feste da sballo in ville napoleoniche, in cui un’auto da sogno è un piccolo presente e tutto è apparentemente lecito. Una realtà talmente distante da quella di chi guarda solletica sicuramente il voyeurismo spettatoriale, suscitando al contempo incredulità, coinvolgimento e un pizzico d’invidia. L’approccio immersivo della regia, a tal proposito, fa sì che il pubblico si lasci contagiare volentieri dalla spensierata superficialità con cui Vince e compari vivono l’attimo e (non) affrontano le sfide, spesso grottesche, cui la narrazione li sottoporrà.
La peculiare e accattivante caratteristica di Entourage risiede nella capacità di ritrarre un ambiente tanto spropositato quanto verosimile. Contribuisce a perseguire con vivida efficacia questo risultato anche la consistente presenza di camei di veri protagonisti dello show business. Si va dalle fugaci ed esilaranti apparizioni di Mark Whalberg (produttore del film e della serie) e Liam Neeson, sempre più autoironico dopo l’exploit in Ted 2, alle vulcaniche incursioni delle bellissime ma peperine Jessica Alba e Emily Ratajkowski. Un espediente di questo tipo accresce le potenzialità della pellicola tanto dal punto di vista umoristico che, come si accennava poco sopra, da quello diegetico, il quale guadagna in autenticità e freschezza.
In conclusione, si può affermare che la trasposizione di Entourage in lungometraggio sia un esperimento in linea di massima riuscito, in grado di offrire un intrattenimento senza pretese ma piacevole anche a chi non ha seguito la serie. È la soluzione ideale per chiunque voglia trascorrere 105 minuti all’insegna del disimpegno e godersi un’avventura hollywoodiana così assurda da risultare credibile. Il merito va in grande parte anche alle inarrestabili interpretazioni di Jeremy Piven e Kevin Dillon che, sebbene sopra le righe, si lasciano ricordare e apprezzare maggiormente dei protagonisti principali. Questi ultimi, sebbene non esenti da un abbozzo di background, non si allontanano mai davvero dal proprio status di caratteri o stereotipi.
Il film è in sala dal 15 luglio, distribuito da Warner Bros.
Chiara Carnà
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