Fear Street: Prom Queen, la recensione

Con Fear Street: Prom Queen, Netflix prosegue l’espansione del suo universo horror ispirato ai romanzi di R.L. Stine, offrendo un capitolo standalone che si inserisce temporalmente tra Fear Street Parte Due: 1978 e Fear Street Parte Uno: 1994. Diretto da Matt Palmer, che lo ha anche scritto insieme a Donald McLeary, il film è ambientato nel 1988 a Shadyside, dove il ballo di fine anno si trasforma in un incubo sanguinoso.
Lori Granger (India Fowler) è una studentessa di Shadyside High con un passato familiare oscuro. Decisa a riscattare il nome della sua famiglia, si candida per diventare la reginetta del ballo di fine anno. La competizione è agguerrita, soprattutto con Tiffany Falconer (Fina Strazza), una delle ragazze più popolari della scuola. Quando le altre candidate iniziano a scomparire misteriosamente, Lori si ritrova coinvolta in una serie di omicidi che minacciano di rovinare la serata tanto attesa.
A differenza dei precedenti capitoli, che seguivano una narrazione continua legata alla maledizione di Sarah Fier, Prom Queen è un film quasi autonomo. Tuttavia, la sua ambientazione temporale lo inserisce tra gli altri film della saga, offrendo uno spunto interessante per esplorare le origini della maledizione che affligge Shadyside, che viene comunque menzionata a più riprese, così come un dettaglio nella brevissima scena mid-credits tenta una timida e criptica connessione alla maledizione di Sarah Fier.
Fear Street: Prom Queen si presenta come un omaggio ai classici slasher degli anni ’80, con riferimenti evidenti a film come Carrie, Non entrate in quella casa e A Nightmare on Elm Street. La colonna sonora originale synth-heavy, i grandi successi pop (Billy Idol, Laura Bradigan, Duran Duran, Roxette) che si susseguono come in una compilation di GTA: Vice City, le acconciature e i costumi tipici dell’epoca, e l’ambientazione scolastica richiamano immediatamente quel periodo. Tuttavia, nonostante questi richiami, il film fatica a catturare l’essenza e l’energia dei suoi predecessori. Le sequenze di omicidio risultano spesso prevedibili e prive di quella tensione palpabile che caratterizzava i grandi slasher del passato, ma dalla loro hanno una ferocia e una violenza a tratti davvero inaspettata ed estrema.
Le performance del cast sono nel complesso solide. India Fowler, in particolare, offre una Lori convincente, mentre Fina Strazza incarna una Tiffany carismatica e minacciosa. Tuttavia, alcuni personaggi secondari risultano poco sviluppati, e le dinamiche tra loro appaiono superficiali, a cominciare dalla Megan di Suzanna Son, un personaggio chiaramente importante ma che non riesce ad emergere, soprattutto in relazione al suo ambiguo interesse per la protagonista. La sceneggiatura, dunque, non sempre approfondisce adeguatamente le motivazioni dei personaggi, lasciando il pubblico con più domande che risposte.
Matt Palmer, noto per il suo lavoro nel thriller Calibre, dimostra una buona padronanza della regia, creando un’atmosfera pop e a tratti inquietante. Le scelte stilistiche, come l’uso delle luci e delle ombre, con una fotografia dai colori saturi, contribuiscono a costruire un ambiente insolitamente claustrofobico.
Fear Street: Prom Queen si inserisce nel panorama degli slasher anni ’80 con buone intenzioni, ma senza riuscire a eguagliare i suoi ispiratori. Nonostante una regia competente e un cast in parte efficace, il film soffre di una trama prevedibile e di personaggi poco sviluppati, adagiandosi sulla qualità generale della saga a cui appartiene. Per gli appassionati del genere, rappresenta un intrattenimento discreto, ma per chi cerca un’esperienza horror più profonda e innovativa, potrebbe risultare deludente.
Potete trovare un approfondimento sulla precedente trilogia di Fear Street cliccando qui.
Roberto Giacomelli
PRO | CONTRO |
|
|
Lascia un commento