Final Destination: Bloodlines, la recensione del sesto film della saga

Sono passati ben 14 anni da quando la Morte è venuta l’ultima volta a fare visita a un gruppo di “malcapitati superstiti”. Era il 2011 e usciva nei cinema Final Destination 5, riuscitissimo prequel che chiudeva idealmente il cerchio di una saga molto amata dai fan dell’horror ma anche visibilmente stanca, intrappolata in un meccanismo tanto geniale quanto ripetitivo. E visto che le regole create da Jeffrey Reddick nel 2000 insieme a Glen Morgan e James Wong per il primo film della saga concedono davvero pochi margini di manovra, l’ideale era mettere a riposo il franchise per un po’ di tempo, così da stuzzicare l’acquolina dei fan e sperare che, nel frattempo, potessero nascere nuovi spettatori per questa saga.
Così è stato e Final Destination: Bloodlines resuscita il brand con una sorta di soft-reboot che si pone sì come sesto film di una saga, ma soprattutto come episodio stand-alone che non necessita rewatch o recuperi all’ultimo minuto per essere compreso nella sua interezza.
Stefani è perseguitata da un incubo ricorrente in cui vive una terrificante catastrofe che si consuma negli anni ’60 del ‘900 su un ristorante/torre, proprio durante la sera della sua inaugurazione, quando l’incuria degli avventori e un’esplosione portano alla morte di dozzine e dozzine di persone. La protagonista del sogno, però, è Iris, la nonna di Stefani che la ragazza non ha mai conosciuto a causa di una situazione molto difficile con la sua famiglia. Iris, infatti, vive come un’eremita e ha tagliato qualsiasi rapporto con figli e nipoti perché considerata una pazza pericolosa.
Per scoprire il motivo del suo sogno, la ragazza si mette però alla ricerca della nonna apprendendo che quasi settant’anni prima la donna aveva avuto una premonizione sul disastro che stava per avvenire sulla torre, dove era presente anche lei con il fidanzato Paul, ed è riuscita ad avvisare tutti prima dell’incidente salvando tante vite. Ma con il passare del tempo, tutti i superstiti al disastro sono morti in circostanze misteriose. Iris sa che la Morte è tornata per regolare i conti, con l’aggravante che lei ora ha una numerosa famiglia e se dovesse morire innescherebbe una reazione a catena che porterebbe alla dipartita dei suoi discendenti diretti, che non sarebbero mai dovuti venire al mondo!
Con uno spettacolare prologo che si svolge a metà del secolo scorso, con un disastro a catena che interessa una folla festante di clienti di un avveniristico ristorante/balera a centinaia e centinaia di metri d’altezza, si apre Final Destination: Bloodlines di Zach Lipovsky e Adam Stein.
Lipovsky arriva da una serie di b-movie horror diretti da solista (Tasmanian Devils, Leprechaun: Origins, Dead Rising: Watchtower), ma insieme al collega Stern ha già diretto il bel Freaks del 2018. La coppia si riunisce sotto il coordinamento artistico del produttore e co-autore del soggetto Jon Watts, che oggi conosciamo come regista della trilogia di Spider-Man con Tom Holland, ma in passato è stato al timone del terrificante Clown. Insomma, una bella squadra per resuscitare un franchise così iconico a cui si uniscono anche gli sceneggiatori Guy Busick e Lori Evans Taylor: il primo penna di Finché morte non ci separi, Scream 5 e 6 e Abigail, la seconda della ghost story con Melissa Barrera Riposo forzato – Bed Rest.
Come prima cosa, Final Destination: Bloodlines ha bisogno di riordinare gli elementi della saga dettandone nuovamente le regole, con qualche novità. Quindi ok alla premonizione, ma stavolta appartiene al passato; assolutamente si all’inevitabile body-count, con morti sempre più estreme e disturbanti ma anche delle coreografie elaboratissime a precederle. La novità in confronto al passato risiede nel fatto che tutta la tragedia si consuma all’interno della stessa famiglia, con una serie di dipartite che interessano l’albero genealogico dei Campbell/Lewis per ristabilire l’ordine scardinato il secolo prima.
Plot complesso ma allo stesso semplicissimo che punta tutto, come è facile aspettarsi, proprio sui momenti delle morti. Ogni decesso è una grande scena madre, con tutta una serie di elementi che fungono da innesco ma anche da false piste – come gli spettatori della saga ben sanno – fino ai sanguinosi climax che in questo film raggiungono vette di disturbante decisamente alte. Non guarderete più un camion della nettezza urbana o un macchinario per la TAC nello stesso modo dopo Final Destination: Bloodlines. Questo è poco, ma sicuro!
Ma questo sesto film, anche per “sdrammatizzare” le atrocità che mostra, è ricco di ironia avvicinandosi idealmente all’amatissimo Final Destination 2 per quel senso del grottesco che riesce a gestire con estrema nonchalance. E non è casuale il riferimento al capitolo diretto da David R. Ellis, visto che un camion che trasporta tronchi fa il cammeo in una scena ed è stato protagonista della campagna marketing americana.
Unico collante tra tutti i capitoli della saga di Final Destination (ad eccezione del 4) è la presenza di Tony Todd, che ci ha lasciati prematuramente lo scorso anno, che qui torna a interpretare il misterioso Bludworth. Ma stavolta questo inquietante personaggio ha un nome di battesimo, un passato e una funzione ben precisa nella storia in modo da rispondere alle domande dei fan e così rendere anche omaggio al suo grande interprete, alla cui memoria il film è dedicato.
Cast di volti poco noti, per lo più televisivi, tra i quali segnaliamo Kaitlyn Santa Juana che viene dalla serie tv The Flash e interpreta la protagonista Stefani, Rya Kihlstedt di Superman & Lois e Obi-Wan Kenobi è sua madre e Richard Harmon di I Still See You e Margaux nel ruolo di suo cugino Erik.
Se avete un debole per questa saga, Final Destination: Bloodlines sicuramente non vi deluderà perché è tra i capitoli più divertenti realizzati fino ad ora; se vi avvicinate invece per la prima volta a Final Destination (e con questo film potete), sappiate che vi aspetta un tripudio di splatter, sfighe varie e tanta macabra ironia.
Final Destination: Bloodlines è nei cinema italiani dal 15 maggio 2025 distribuito da Warner Bros.
Roberto Giacomelli
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