Flight Risk – Trappola ad alta quota, la recensione

Mel Gibson ha una carriera da regista decisamente interessante, forse più interessante di quella da attore. Perché in sei film diretti nell’arco di trentadue anni, Gibson ha spaziato in diversi generi e non ha avuto paura di rischiare, a tratti tantissimo. Facile pensare a La Passione di Cristo e Apocalypto, recitati in lingue arcaiche, il secondo da attori non professionisti ed entrambi intrisi di una violenza davvero estrema. Ma se in quei casi il rischio è tangibile fin dal pitch che ha anticipato la produzione di ciascuna opera, nel più recente film da regista di Mel Gibson, Flight Risk – Trappola ad alta quota, il rischio sta nel mettersi in gioco come autore abbracciando l’ottica del b-movie minimale, come se si trattasse di un nuovo inizio.
Sicuramente la strada che ha portato Gibson ad accettare un progetto come questo non è dettata tanto da esigenze artistiche quanto dal momento difficile che sta attraversando, messo ai margini per le idee politiche non in linea con il mainstream di Hollywood e per i problemi personali con l’alcolismo che lo hanno portato anche all’arresto per guida in stato di ebbrezza. Flight Risk, dunque, suona come una risalita, un rimettersi in gioco; ma anche in una produzione così piccola si intravede il grande mestiere di chi il cinema hollywoodiano ha contribuito a farlo crescere.
L’agente Madolyn Harris è incaricata di scortare Winston, un contabile pentito della famiglia mafiosa Moretti, da Anchorage a New York, dove dovrà testimoniare contro i suoi ex datori di lavoro. Per il viaggio, scelgono un piccolo aereo pilotato da Daryl Booth. Durante il volo sopra la catena montuosa dell’Alaska, Winston nota che la foto sulla licenza di pilota non corrisponde a Daryl. L’uomo è in realtà un sicario incaricato di eliminare Winston prima che possa testimoniare.
A Mel Gibson bastano 91 minuti per raccontare, con una sceneggiatura di Jared Rosenberg, una storia essenziale e ricca di tensione che sembra uscita direttamente dalla programmazione di un multisala degli anni ’90. L’idea, infatti, è quella di riproporre la formula di certi thriller ad alta quota tipici di fine secolo, tipo Tubulence, Air Force One, Con Air, ma ripensando tutto in piccolo limitando al minimo indispensabile location e attori. Così, senza distrarsi troppo dall’hic et nunc, l’azione si svolge al 95% nei pochissimi metri quadri della cabina di un piccolo aereo monomotore e gli attori in scena sono solo tre, con l’aggiunta di altri tre personaggi dei quali, però, si ascolta solo la voce al telefono.
Flight Risk è, dunque, pensato per essere un piccolo film, e in parte lo è stato anche in senso produttivo (20 milioni di dollari di budget); allo stesso tempo, però, è carico di quell’energia e di quel ritmo che caratterizzano i blockbuster d’azione, svelando immediatamente la dimestichezza del suo regista con determinate meccaniche narrative e produttive.
Nel rimpolpare la semplicissima trama di Flight Risk, che a un certo punto si allarga senza troppa convinzione a illustrare a parole doppi giochi nelle alte sfere delle forze dell’ordine, c’è la costruzione di questi tre personaggi sui quali gli occhi dello spettatore sono puntati tutto il tempo.
Se escludiamo la protagonista interpretata dalla Michelle Dockery di Downton Abbey, ovvero l’eroe, notiamo che sia il pentito/testimone che il sicario/pilota sono due personaggi estremizzati nella caratterizzazione fino a diventare volontariamente delle macchiette. Fa tutto parte del gioco, pensate ai personaggi di Con Air, ad esempio, tra le evidenti reference di Gibson e Rosenberg; ci troveremo Thoper Grace a fare battute ironiche fuori luogo anche in momenti di pericolo e Mark Wahlberg in costante over-acting per sottolineare il carisma e la malvagità del suo personaggio.
Flight Risk, quindi, scopre le sue carte in maniera repentina puntando tutto e subito all’intrattenimento di pancia, senza mai provare neanche a imbastire una situazione credibile.
Nonostante ciò, si instaura immediatamente una certa complicità con l’agente Madolyn Harris e si teme per la sua incolumità, tanto che la voce entusiasta di Hasan, il pilota che la istruisce per telefono a guidare l’aereo, è sovrapponibile a quella dello spettatore partecipe; così come il villain Daryl trasmette subito una certa antipatia e il suo fare fintamente amichevole, ma intrinsecamente viscido amplificato dall’inusuale scelta estetica su Wahlberg, lo caratterizza immediatamente come minaccia.
Quindi è nella sua essenzialità e immediatezza che Flight Risk sa dialogare con lo spettatore, rendendolo partecipe emotivamente, immergendolo immediatamente all’interno della storia. E questa è una grande qualità che non tutti i film riescono a manifestare.
In attesa del ben più ambizioso The Ressurrection of Christ, Mel Gibson si concede dunque una piccola parentesi che abbraccia con grande efficacia il b-movie d’azione che ha tenuto in piedi Hollywood per decenni. Accolto con freddezza al botteghino americano, Flight Risk – Trappola ad alta quota arriva nei cinema italiani dall’8 maggio 2025 distribuito da Eagle Pictures.
Roberto Giacomelli
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