Fly Me to the Moon – Le due facce della Luna, la recensione
Il 21 luglio del 1969 si è fatta la Storia: il comandante Neil Armstrong è stato il primo essere umano ad aver messo piede sulla Luna, piantando una bandiera americana sul Satellite terrestre a simbolo dell’agognato risultato nella corsa allo Spazio che ha visto gli Stati Uniti contrapposti fino all’ultimo all’Unione Sovietica. Armstrong era partito insieme al pilota del modulo lunare Buzz Aldrin e al pilota del modulo di comando Michael Collins il 16 luglio, dando il via alla missione Apollo 11; i tre sono poi rientrati incolumi sulla Terra il 24 luglio ammarando nell’Oceano Pacifico.
Ben 55 anni sono passati da quando Armostrong pronunciò l’iconica frase <<One small step for a man, one giant leap for mankind>> e, nonostante ciò, c’è ancora una teoria complottista molto diffusa che specula sul fatto che l’uomo, in realtà, quel “piccolo-grande passo” non l’abbia mai compiuto.
È stato Stanley Kubrick a dirigere il “finto” sbarco degli americani sulla Luna? Oggi, giustamente, questa supposizione ci fa sorridere, ma milioni – anzi miliardi – di persone ne sono state e ne sono ancora convinte. In fin dei conti, se oggi c’è chi crede che la Terra sia piatta, se c’è il gruppo QAnon e le teorie sul Nuovo ordine mondiale e qualcuno ha sostenuto l’idea dei microchip nei vaccini e perfino dell’implicazione della rete 5G, a maggior ragione non deve stupire su qualcuno s’è bevuto e ha sostenuto la leggenda metropolitana del finto allunaggio, paradossalmente più plausibile delle suddette sciocchezze.
Proprio riflettendo e scherzando sulle teorie del complotto legate alla missione Apollo 11, nasce la commedia fanta-brillante Fly Me to the Moon – Le due facce della Luna, scritta da Rose Gilroy su un soggetto di Keenan Flynn e Bill Kirstein e diretta da Greg Berlanti.
Mentre fervono i preparativi per il lancio dell’Apollo 11, la NASA si trova ai minimi storici di popolarità e per risolvere questo gap tra gli americani e l’agenzia aerospaziale, il team del Presidente Nixon decide di reclutare la pubblicitaria Kelly Jones per escogitare una strategia comunicativa che possa rendere interessante il progetto agli occhi degli americani e dare una nuova e più accattivante identità alla NASA. Mentre la forte personalità della Jones deve fare i conti con l’austerità e il basso profilo del Direttore Cole Davis, il team del Presidente dà un altro compito alla donna: preparare le riprese di un finto allunaggio da trasmettere in diretta tv nell’ipotesi che quello vero possa avere delle complicazioni.
Inizialmente Fly Me to the Moon, prima di condividere il titolo con la canzone di Frank Sinatra, si intitolava Project Artemis e doveva essere diretto da Jason Bateman, poi uscito di scena per divergenze creative con la produzione Apple Studios e sostituito dal regista de Il club dei cuori infranti e Tuo, Simon. Ma anche il protagonista sarebbe dovuto essere differente perché se Scarlett Johansson è sempre stata legata al progetto nel ruolo dell’esuberante Kelly Jones, il burbero Cole Davis non doveva essere Channing Tatum ma Chris Evans! Probabilmente il risultato non sarebbe stato troppo differente, ma ci piace pensare che questa impronta da commedia sofisticata che sembra uscita direttamente dalla Hollywood di metà secolo scorso sia tutta farina del sacco di Berlanti, noto ai più per il ruolo di produttore e sceneggiatore dell’Arrowverse televisivo.
Quel che più convince e diverte nel film di Berlanti è il modo come sono stati caratterizzati i due personaggi protagonisti e la buona chimica che si è creata tra Johansson e Tatum: da una parte troviamo una donna forte che si batte contro le disparità di genere facendo valere la sua professionalità e l’ottimo intuito, ma anche la sua indispensabile sfacciataggine; dall’altra abbiamo il classico militare, dal fare autoritario e dall’indole determinata. Tra i due non può che scattare la scintilla, penserete voi, e una nota da commedia romantica in effetti la sceneggiatura la prevede, anche se poi a prevalere nella costruzione dei personaggi è il disvelamento di una fragilità insita nel passato di entrambi, toccato da tragedie, sensi di colpa, difficoltà famigliari e perfino guai con la legge.
Si tratta, quindi, di un film fortemente incentrato sui personaggi e per una giusta riuscita servono, ovviamente, i volti e il carisma giusto a trasmetterli al pubblico. Su Scarlett Johansson nessuno avrebbe mai avuto dubbi, ma Chaning Tatum non è sempre stato sinonimo di qualità e seppur sia messo in ombra dalla collega, troviamo l’ex G.I. Joe decisamente in parte e in perfetto equilibrio con i toni del suo personaggio che, curiosamente, richiama al Comandante Tiberius Kirk di Star Trek grazie alla predisposizione al comando che mette in mostra e a una ben precisa scelta nei colori degli abiti che indossa.
Ma veniamo al Progetto Artemis, nome in codice del finto allunaggio oltre che titolo di lavorazione del film. Personaggio chiave di questa porzione di film è il misterioso Moe interpretato da Woody Harrelson, punto di congiunzione tra Kelly Jones e lo Studio Ovale, che commissiona e segue in prima persona la realizzazione del film che verrebbe mandato in onda qualora l’allunaggio avesse delle complicazioni. Tutto l’ultimo atto di Fly Me to the Moon è dedicato al Progetto Artemis e, come prevedibile, è la parte più divertente oltre che cuore del film, con momenti di vera e propria suspense (si, avete letto bene) oltre che un ingranaggio da commedia brillante davvero impeccabile.
Ultimo dato, ma non in ordine d’importanza: Fly Me to the Moon non solo porta al centro del discorso una storia di emancipazione femminile in un contesto strettamente maschile come quello militare d’epoca, ma è soprattutto un film sull’importanza del marketing inserito in un periodo in cui non c’era consapevolezza di questo aspetto al di fuori degli addetti ai lavori. Kelly Jones è pagata per vendere letteralmente la Luna agli americani e dare una “rinfrescata” al brand NASA che stava perdendo appeal. Oggi ci sembra all’ordine del giorno pensare nell’ottica del marketing aziendale, nell’era dei social network è poi tutto facilitato, ma nel 1969 quando al massimo c’era la tv a rendere più accattivante un prodotto e catturare l’attenzione dell’audience, pensare fuori dagli schemi come fa in questo film la protagonista è praticamente rivoluzionario.
Insomma, è stato Kubrick a girare lo sbarco sulla Luna? No, non è stato lui ma dopo aver visto Fly Me to the Moon cominciamo a convincerci che l’esito di una delle più grandi conquiste della storia dell’umanità poteva essere compromessa dalla presenza di un… gatto!
Fly Me to the Moon – Le due facce della Luna è nei cinema italiani dall’11 luglio 2024 distribuito da Sony Pictures ed Eagle Pictures.
Roberto Giacomelli
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