Hit Man – Killer per caso, la recensione
La carriera di Richard Linklater è imprevedibile.
Dalla trilogia cult con Ethan Hawke e Julie Delpy iniziata nel 1995 con Prima dell’alba si passa al western-crime The Newton Boys, poi all’animazione in rotoscope di Waking Life e A Scanner Darkly, ma c’è spazio anche per la commedia di successo con Jack Black School of Rock e per il coming of age in tempo reale (girato davvero in 12 anni!) Boyhood, vincitore di un Oscar. Che artista è Richard Linklater, dunque? Non lo so. Probabilmente è uno a cui non piace ripetersi e che non ha paura a prendere dei rischi. Con Hit Man – Killer per caso c’è un ulteriore cambio d’abito, e la commedia sentimentale si contamina con il pulp in una vicenda crime che, incredibilmente, deriva da una storia vera.
Gary Johnson è un introverso professore universitario amante dei gatti e, di tanto in tanto, collabora con la polizia di New Orleans in qualità di consulente informatico. Quando il poliziotto sotto copertura Jasper viene sospeso dal servizio, Gary è praticamente obbligato dai colleghi della polizia a prendere il suo posto impersonando un sicario. La missione è un tale successo che, anche al rientro di Jasper, Gary continua a vestire i panni del killer prezzolato Ron. Ma quando l’uomo incontra Madison, che vuole assumerlo per far fuori il marito violento, la situazione si complica perché Gary si innamora della donna e inizia a frequentarla al di fuori del lavoro, con il rischio di compromettere la sua copertura.
Linklater rimugina sul bizzarro caso di Gary Johnson dal 2001, quando ha appreso la storia del professore finto sicario e consulente della polizia su un articolo del Texas Monthly scritto dal giornalista Skip Hollandsworth. Lo stesso Hollandsworth che aveva scritto anche l’articolo per la stessa rivista da cui Linklater aveva tratto il crime del 2011 Bernie e al quale lo stesso giornalista aveva collaborato come sceneggiatore. Non è un caso, infatti, che se dovessimo cercare nella variegata filmografia del regista un titolo di paragone con Hit Man, quel titolo sarebbe proprio lo sfortunato Bernie con Jack Black.
Anche sceneggiatore, Linklater ha scritto Hit Man insieme al suo attore protagonista, Glen Powell, ovvero l’uomo più ambito da Hollywood in questi mesi, grazie al successo di Tutti tranne te e all’imminente Twisters. E probabilmente avere lo stesso interprete a contribuire alla scrittura del personaggio ha aiutato non poco Powell ad entrare nei panni di Gary/Ron e restituirlo al pubblico in maniera così convincente. Perché quella di Powell è un’interpretazione sentita, si nota tantissimo che si stava divertendo a fare un film in cui credeva e che lo sta ripagando dal punto di vista artistico.
Ma se i personaggi di Hit Man, innegabilmente, sono scritti benissimo, checché se ne dica, il film non ha una struttura narrativa di ferro, anzi risulta piuttosto sbilanciato con una prima parte monotona e perfino noiosetta, una seconda molto dinamica ma frettolosa.
Prima di arrivare al fatidico incontro con Madison, interpretata dalla bellissima Adria Arjona di Morbius e The Belko Experiment, Hit Man rimugina un po’ troppo sulle missioni da sicario di Gary, ovvero le sue chiacchierate con gli aspiranti clienti, in cui Powell esibisce travestimenti e parlate sempre più eccentriche in un eccesso di narcisismo attoriale che alla lunga da noia invece di divertire. Il blocco centrale del film, invece, è impeccabile e la chimica tra i due attori si percepisce, così come si nota un lavoro davvero certosino nell’articolare il rapporto tra i personaggi e la rete di bugie su cui si regge il fittizio Ron, inevitabilmente destinata a cedere. È l’ultimo atto, invece, a mostrare un po’ il fianco dietro una frettolosità nel racconto degli eventi che avrebbe meritato un maggiore approfondimento. Insomma, vista anche la durata importante che sfiora le due ore, una limatina al primo atto e una maggiore concessione all’ultimo avrebbero sicuramente creato maggior equilibrio a un film che, comunque, è ben sopra la media delle crime-comedy contemporanee.
Con uno sguardo al genere pulp/romance come nei bei tempi dei fratelli Coen, Hit Man porta avanti un interessante discorso sull’essere e l’apparire, rimarcando come l’Essere è spesso preferibile, soprattutto agli occhi di chi guarda, che si tratti della donna di cui ci si innamora o dello spettatore stesso. Ron versus Gary, ma anche un discorso che abbraccia il genere di appartenenza del film che si mostra come un crime ma, di base, è una commedia. E non è un caso se i gatti di Gary si chiamano Ego ed Es perché è proprio alle categorie freudiane psicoanalitiche che va ad aggiungersi il Super-Io rappresentato dall’identità idealizzata Ron, il bello sicuro di sé che rappresenta tutto quello che l’Io-Gary non è mai stato e forse mai sarà.
Hit Man, dal sottotitolo italiano Killer per caso che ricorda un film anni ’90 con Ezio Greggio, è stato presentato in anteprima fuori concorso all’80ª Mostra del Cinema di Venezia e arriverà nei cinema italiani il 27 giugno 2024 distribuito da BIM, a differenza dal resto del mondo dove approda direttamente in streaming come esclusiva Netflix.
Roberto Giacomelli
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