Il robot selvaggio, la recensione

Se fino a qualche anno fa c’erano solo la Pixar e Studio Ghibli a sperimentare in ambito di cinema d’animazione mainstream, costruendo opere stratificate alla portata di un pubblico ampio e variegato, oggi questa tendenza sta fortunatamente espandendosi a molte altre realtà produttive internazionali. Dagli immancabili Stati Uniti (si vedano i lungometraggi animati su Spider-Man, ma anche lo struggente Pinocchio di Guillermo Del Toro e, in parte, il secondo stand-alone su Il gatto con gli stivali), al Belgio con Flow – Un mondo da salvare, passando per la Spagna con Il mio amico robot. Anche l’Italia dà segni di sperimentazione nell’animazione (no, non parliamo di PAPMusic – Animation for fashion, ci dispiace Leikiè) con le opere di Alessandro Rak e la fusione tra documentario e animazione de Il segreto di Liberato, confermando che quello che un tempo era considerato “cinema per bambini” oggi viaggia perfettamente alla pari con altri stili di narrazione audiovisiva. Alla lista possiamo aggiungere anche Il robot selvaggio, graditissimo ritorno al cinema d’animazione da parte di Chris Sanders dopo la bella parentesi live action de Il richiamo della foresta, che si cimenta con una profonda favola ambientalista già destinata concorrere nella grande stagione dei premi cinematografici.  

Precipitato dal cielo su una scogliera durante una “consegna”, il robot ROZZUM 7134, noto con l’abbreviazione ROZ, viene accidentalmente attivato dalla fauna del luogo. Gli animali, però, sono spaventati e ostili verso quel “mostro” e a nulla serve il fatto che riesce a comunicare nella loro lingua. ROZ, però, è progettato per portare a termine delle missioni e quindi fa di tutto per cercare la sua missione finché, per un incidente, uccide accidentalmente mamma oca che stava covando un uovo; da quell’uovo nasce un’ochetta, Beccolustro, che fa imprinting proprio con ROZ, identificandolo nella sua mamma. Aiutato da una scaltra volpe di nome Fink, il robot cresce l’ochetta con l’obiettivo di insegnarle a volare in tempo per la grande migrazione, ma Beccolustro ha una menomazione alle ali che le rende il compito particolarmente complicato…

Adattamento del primo, omonimo, romanzo illustrato di Robert Brown, Il robot selvaggio porta il marchio DreamWorks Animation per la quale Sanders aveva diretto I Croods e, soprattutto, il primo indimenticabile Dragon Trainer. E ne Il robot selvaggio possiamo intravedere proprio quel mix di avventura e sensibilità che stava alla base del film sull’addestratore di draghi, compreso il tema della disabilità che lì investiva il protagonista Hiccup, qui la paperetta che deve combattere con la malformazione delle sue ali e il pregiudizio altrui.

Ma il grande valore di questa avventura grafica è la varietà di tematiche che affronta senza risultare mai troppo banale. Se a primo impatto è evidente la volontà di mostrare l’incontro/scontro tra natura e tecnologia, raccontando come ognuno può trarre vantaggio e rafforzarsi dall’altra, è invece il tema ambientale a prendere il sopravvento ad un certo punto. Perché quella in cui si svolge Il robot selvaggio è una realtà distopica che ha visto il collasso della Natura e di parte dell’umanità, quindi il luogo in cui ROZ di trova ad agire è una delle poche oasi naturali rimaste sul pianeta e preservarla dall’azione distruttiva esterna diventa la vera grande missione alla base della nostra avventura.

E poi la volpe Fink, l’opossum Pinktail e la sua prole, l’orso Thorn, il castoro Paddler, lo stesso Beccolustro e tutti gli altri non sono forse un variegato microcosmo sociale perfettamente sovrapponibile ad uno tipico umano? Ed è grazie alla collaborazione, alla cooperazione tra razze differenti e all’accettazione del diverso che si possono affrontare le difficoltà, farsi valere e salvare la situazione.

Il robot selvaggio gioca molto con l’elemento emotivo mostrandoci un legame davvero speciale tra mamma robot e la piccola oca che non mancherà di procurare qualche lacrima allo spettatore, ma non lesina anche in momenti sinceramente divertenti con picchi di umorismo macabro che riguardano in particolare i piani di Fink (le volpi hanno sempre dei design pazzeschi nei film d’animazione!) per mangiare la piccola oca e il chiodo fisso per la morte dei cuccioli di opossum.

Da un punto di vista grafico, si può notare uno stile molto ricercato che fonde la CGI con elementi pittorici: spesso gli oggetti non hanno contorno, gli sfondi sono sfocati e l’effetto è molto vicino a quello della pittura impressionista. Il design di ROZ, invece, molto pulito e con dei bei giochi di luce, ricorda quello di Fugitoid, il robot con cervello umano delle Tartarughe Ninja, anche se in alcuni momenti in cui va a fondersi con la natura è impossibile non pensare ai robot dell’isola di Laputa de Il castello nel cielo.

Anticipato da alcune anteprime a cavallo tra settembre e ottobre, Il robot selvaggio arriva nei cinema il 10 ottobre distribuito da Universal Pictures Italia.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • I nobili messaggi che il film trasmette.
  • La bellissima veste grafica.
  • La colonna sonora non è proprio memorabile e in un momento di raccordo c’è Kiss the Sky di Maren Morris che musicalmente è un pugno in un occhio.
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