Insidious – La porta rossa, la recensione
Dieci anni dopo Insidious 2 – Oltre i confini del male e a ben tredici anni di distanza dal primo film che ha dato origine a tutto, la saga horror creata da James Wan e Leigh Whannell torna a raccontare la storia della famiglia Lambert, con la quale abbiamo imparato a temere i viaggi astrali nell’inquietante dimensione tra la vita e la morte nota come Altrove. Infatti, nel corso degli ultimi dieci anni, la saga di Insidious ha proseguito esplorando storie prequel incentrate sul personaggio della medium Elise Rainier, che moriva proprio nell’epilogo del film del 2010. Ora, invece, con Insidious – La porta rossa, quinto film del franchise, ci troviamo alle prese con il primo vero sequel della storyline originaria che riporta in scena tutti gli attori visti nei primi due film.
Nove anni fa, il piccolo Dalton e suo padre Josh hanno affrontato un’esperienza incredibile che ha portato il bambino a un coma di tre mesi, intrappolato in un limbo tra la vita e la morte in balia di un orrido demone, e il padre ad essere posseduto dallo spirito di un serial killer che lo ha quasi spinto a massacrare tutta la sua famiglia. Dopo quegli eventi, la memoria dell’ultimo anno di Dalton e Josh è stata cancellata con l’ipnosi e loro hanno vissuto nell’inconsapevolezza… fino ad ora.
Josh, infatti, che nel frattempo ha divorziato da sua moglie Renai, ha appena perso sua madre Lorraine e ha cominciato ad avere delle strane allucinazioni che lo hanno spinto a fare degli esami medici. Dalton, invece, che ha un rapporto conflittuale con suo padre, sta iniziando il college e anche nella sua vita qualcosa di strano si sta manifestando. In particolare, il ragazzo riesce a compiere dei viaggi fuori dal suo corpo quando dorme e vede degli strani individui che dovrebbero essere morti. Inoltre, durante il corso d’arte, disegna una porta rossa che sembra ricordargli qualcosa che non riesce a mettere a fuoco.
I ricordi di quel traumatico anno stanno pian piano riaffiorando e delle inquietanti presenze dall’Altrove sembrano reclamare sia Dalton che Josh.
L’interesse primario in Insidious – La porta rossa risiede fondamentalmente nel tornare ad osservare le vite dei membri della famiglia Lambert, o meglio le conseguenze di quello che hanno passato, ma stavolta, a differenza di quanto fatto con i primi due film che raccontavano un’unica storia senza stacchi temporali, il tempo è trascorso e ha lasciato molte ferite nei protagonisti. Non a caso, Insidious – La porta rossa si apre con il funerale di Lorraine Lambert che era un punto saldo nella vita di Josh, la vera custode dei segreti di famiglia. Ma la morte della matriarca è solo l’ultimo dei turbolenti eventi che nel corso di questi anni hanno investito i Lambert perché il divorzio tra Josh e Renai ha aperto una vera e propria faglia nella psiche dell’uomo e ha portato direttamente all’altra criticità, il profondo conflitto tra Dalton e suo padre. È chiaro che tutti questi avvenimenti, sommati tra loro, rendono particolarmente vulnerabili i protagonisti, aprendo facilmente la strada al riemergere del rimosso, un rimosso spaventoso che il film ci fa vivere alternando le vicende di Josh e di Dalton.
Da una parte, Insidious – La porta rossa insegue le dinamiche del teen-horror che qua e là erano parzialmente emerse nei due capitoli prequel, seguendo le avventure al college dell’introverso Dalton, interpretato ancora da Ty Simpkins. L’amicizia con l’eccentrica Chris (Sinclair Daniel), le feste della confraternita, le lezioni d’arte, tutto ovviamente virato di un nero funereo e condito di jump scares come se non ci fosse un domani. Dall’altra parte seguiamo la molto meno interessante vicenda di Josh, che ha ancora il volto di Patrick Wilson, qui anche esordiente alla regia, che cerca verità sul suo passato e su un padre che forse potrebbe essere l’origine di ogni evento soprannaturale nella famiglia Lambert.
Nonostante la regia di Patrick Wilson sia molto centrata nel perseguire l’obiettivo di spaventare con il vedo non vedo, con l’atmosfera lugubre e con violenti sbalzi sonori, dimostrando una buona coerenza con gli obiettivi della saga, la sceneggiatura di Scott Teems (Firestarter, Halloween Kills) appare molto incerta sul percorso da seguire per re-introdurre l’high concept che sta alla base di Insidious.
Innanzitutto, il film ci mette davvero troppo tempo ad entrare nel vivo e anche inutilmente, visto che parliamo del quinto capitolo di una saga e si presuppone che lo spettatore sia già alfabetizzato alle dinamiche narrative; invece, Teems se la prende decisamente comoda concedendo più spazio del necessario alla fase di presa di coscienza dei protagonisti, sottolineando quanto sia importante affrontare i traumi invece che rimuoverli.
Inoltre, stando almeno ai primi due atti del film, non sembra neanche di essere in un film della saga di Insidious per il modo in cui viene affrontata la minaccia. Se James Wan guardava a Poltergeist per il primo film e Amityville Horror per il secondo con una visione d’insieme molto coerente votata a rielaborare l’immaginario preesistente per crearne uno nuovo, in Insidious – La porta rossa sembra quasi essere nei territori di Il Sesto Senso con Dalton che incontra fantasmi facendo frequenti viaggi onirico-astrali che invece ricordano molto da vicino gli incubi della saga Nightmare, ma senza Freddy Krueger. Eh già, perché un’altra mancanza in questo quinto film è un villain demoniaco/spettrale, anche se viene recuperato per pochissime scene il mitico demone con il volto rosso del primo film, spaventoso come sempre e sul quale sarebbe stato sicuramente strategico puntare di più.
Invece, Insidious – La porta rossa sembra meno interessato all’aspetto “boogeyman” per concentrare il fulcro del racconto sul rapporto padre-figlio, che sia tra Dalton e Josh o tra quest’ultimo e il suo ritrovato genitore. Sicuramente è una chiave di lettura interessante che fornisce a tutta l’operazione una nobiltà ben superiore in confronto ai due capitoli che l’hanno preceduto, ma va anche a portare fuori dall’indispensabile traiettoria di genere la saga.
Insomma, pur mostrando diverse frecce al suo arco, Insidious – La porta rossa appare un capitolo decisamente fuori fuoco, intrappolato in un’ambizione psicologica castrante che ne fa un capitolo sottotono. Patrick Wilson, però, dimostra di avere una buona mano dietro la macchina da presa e di conoscere il linguaggio della paura. Vuoi vedere che abbiamo trovato un nuovo insospettabile regista del terrore?
Roberto Giacomelli
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