Kaos: il crime mitologico che attendevamo dai tempi di American Gods
Nel 2017 il mondo nerd in tutte le sue svariate ramificazioni (cinefili, bibliofili, fumettari) non stava più nella pelle mentre attendeva l’uscita su Prime Video di American Gods, la serie tratta dall’omonimo romanzo dell’autore di culto Neil Gaiman. Questa frenesia era dovuta al fatto che American Gods, come It e Il Trono di Spade, è scritto in maniera così realistica da riuscire ad affascinare anche coloro che non masticano il genere del fantastico, ed è diventato quindi uno di quei testi-guida che possono aprire le porte della speculative fiction ai più insospettabili lettori.
Purtroppo la serie tv, dopo una meravigliosa prima stagione, esagerò con il simbolismo e fu interrotta al ventiseiesimo episodio, lasciando i pochi fans “appesi” quanto il suo protagonista Shadow Moon. Ma evidentemente Charlie Covell, colei che ci ha regalato quel gioiello di umorismo nero di The End of the f***ing World, aveva bene in mente l’opera originaria di Gaiman ed è riuscita a riformularne al meglio i cardini narrativi, regalandoci la prima stagione di Kaos, uscita su Netflix questo 29 agosto.
La regia di Georgi Banks-Davies e Runyararo Mapfumo ricostruisce una Grecia contemporanea in cui gli eroi e gli dei della mitologia classica conducono esistenze molto vicine alla nostra quotidianità. Una mattina Zeus (Jeff Goldburn), re degli dèi, si sveglia e nota una ruga verticale sulla propria fronte; immediatamente si ricorda di un’antica profezia in cui si prediceva che al comparire di una riga verticale sarebbe regnato il Kaos, e allora comincia a diventare paranoico. Per prima cosa convoca Prometeo (Stephen Dillane) e gli confida i propri dubbi; il titano -che per via dei favori concessi agli uomini è stato condannato a essere incatenato a una roccia e a farsi sbranare il fegato tutti i giorni per l’eternità- lo rassicura dicendogli che la profezia fu fatta prima che lui diventasse il re degli dèi e pertanto non ha alcun valore. Ovviamente chi se non Zeus è così narcisista da credere che uno che patisca una simile condanna possa aiutarlo a guardarsi le spalle? E così si mette il cuore in pace; per poco.
Nel mondo degli umani, invece, Euridice (Aurora Perrineau), detta Riddy, è nel pieno di una crisi matrimoniale con la rockstar Orpheus (Killan Scott), e proprio nel momento in cui decide di affrontarla, viene messa sotto da una macchina. Orpheus non trova pace e grazie a quella testa matta del dio Dioniso (Nabhaan Rizwan), decide di andare nel Regno dei Morti a riprendere la propria amata.
Da queste premesse di snodano le vicende dei vari protagonisti: Riddy nell’Ade fa amicizia con Caeneus (Misia Butler) e insieme scoprono cose che nessun mortale aveva mai immaginato; nello stesso tempo a Creta, Arianna (Leila Farzad) scopre gli intrighi orditi dal padre, il presidente Minosse (Stanley Townsend), per restare al potere; al tempo stesso nell’Olimpo, Era, la moglie di Zeus pianifica il modo di far pagare al marito le sue mitiche scappatelle.
Kaos, dunque, ha tutto quello che aspettavamo da anni: un groviglio di storyline, ciascuna richiamante un preciso mito greco, che finiscono col ricongiungersi in un unico grande disegno, esseri umani pieni di dubbi e difetti che si ritrovano a dover combattere contro gli dèi, plot twist e soprattutto una modernizzazione davvero calzante.
Volendo partire dalle scenografie, allo spettatore scappa un sorriso nel vedere l’Olimpo trasformato in una sorta di Beverly Hills, la Creta minoica nella California e il regno di Ade in una fredda metropoli degna di un film neorealista francese. Ciascun luogo ha la propria luce, fotografia e soprattutto tono narrativo, ed è davvero divertente vedere in che modo influiscono sui protagonisti che si spostano da una sede all’altra in una corsa contro il tempo.
Le stesse direttive artistiche valgono per i personaggi ovviamente: Dioniso ai tempi d’oggi non poteva non essere un bamboccione che passa da un rave party all’altro, Poseidone una specie di magnate pescetariano che naviga i sette mari con un mega yacht, Era la versione malvagia di Claire Underwood, Ade un burocrate nevrotico e Zeus, beh, da lui non ci si aspettava altro che fosse un vizioso egomaniaco.
Assolutamente esilarante è il trio delle Moire queer che fa il bello e il cattivo tempo e gli espedienti che hanno ideato per far accedere i mortali all’Inferno. Ironia della sorte è che tutte queste scelte tecniche esaltano oltremodo la piattezza dei personaggi umani, i cui problemi esistenziali e la battaglia celeste che si preparano a combattere non bastano a renderli accattivanti quanto i villain: difatti, la caratterizzazione dei poveri mortali è identica a quella di altri “eroi fragilini” che abbiamo visto spesso in giro, primi fra tutti in quell’accozzaglia di piagnoni dell’Umberella Accademy.
Nonostante questi sbilanci di “simpatia” tra la fazione dei buoni e dei cattivi, gli otto episodi di Kaos si reggono su una storyline articolata, un ritmo incalzante e un’ironia mordace; sarebbe stato davvero divino vedere questi stessi pregi in American Gods che, al contrario, ormai andava avanti basandosi esclusivamente sul carisma dei protagonisti. Sperando in dei miglioramenti dunque, evochiamo la Musa delle serie tv affinché ci riveli come si concludono i colpi di scena dell’ultima puntata di Kaos.
Ilaria Condemi de Felice
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