Kraven – Il Cacciatore, la recensione

Era l’agosto del 1964 quando sul numero 15 di The Amazing Spider-Man faceva la comparsa Kraven, un temibile cacciatore di origini russe chiamato a dar la caccia all’Uomo Ragno da Camaleonte, che invece è nemico dell’arrampicamuri fin dal primo numero. Per vederlo in azione in Italia, invece, bisognerà aspettare l’ottobre del 1970, precisamente il numero 12 de L’Uomo Ragno. Ora, il pittoresco personaggio creato da Stan Lee e Steve Ditko arriva anche al cinema, in coda al non proprio esaltante Universo Marvel della Sony dedicato ai celebri villain di Spider-Man e, dopo numerosi posticipi, finalmente l’11 dicembre 2024 esce Kraven – Il cacciatore, origin-story stand-alone che porta la firma di J.C. Chandor, apprezzato regista di All Is Lost – Tutto è perduto (2013), 1981: Indagine a New York (2014) e Triple Frontier (2019).
All’anagrafe Sergei Kravinoff, il misterioso cacciatore noto alla cronaca come Kraven è diventato il terrore del crimine internazionale agendo in proprio come giustiziere contro ogni tipo di malvivente. Kraven ha una lista e su quella lista ci sono tutti i suoi bersagli, tra i quali il conterraneo Aleksei Sytsevich, che si sta facendo strada tra il crimine organizzato newyorkese. Ma Aleksei, che ama farsi chiamare Rhino in seguito a una cura sperimentale che gli trasforma la pelle in una corazza e gli dona una forza incredibile, ha avuto una soffiata e non solo sa di essere sulla lista di Kraven, ma conosce anche la vera identità del cacciatore, scoprendo che è il figlio del suo rivale Nikolai Kravinoff. Per tendergli un agguato, allora, Aleksei rapisce Dimitri, l’amato fratello di Sergei e assolda un inquietante sicario conosciuto come lo Straniero.
Il progetto della Sony era interessante. Ambizioso e interessante. Forse troppo ambizioso e poco focalizzato su uno scopo, su un obiettivo unitario. E il fatto che Kraven – Il cacciatore sia stato annunciato come ultimo step di una scalinata tortuosa dove solo la trilogia di Venom ha generato degli utili è un fattore indicativo. Esattamente come accadeva in Morbius e Madame Web, anche Kraven – Il cacciatore ha quell’atmosfera generale da b-movie fine anni ’90, ma non in senso nostalgico e generalmente positivo; piuttosto sembra di essere davanti a quei prodotti fatti coi soldi e con un paio di star di riciclo ma che per qualche motivo produttivo non sono andati come previsto e sono finiti direttamente sugli scaffali della catena Blockbuster saltando l’uscita in sala. Quei film che sono passati più volte al montaggio, che hanno subito riscritture in corso di riprese, che il regista ha disconosciuto firmandosi Alan Smithee. Non necessariamente brutti film tout-court, anzi, quei prodotti che intrattengono e divertono pure, ma che inesorabilmente fanno mostra di troppi difetti.
Kraven – Il cacciatore è esattamente questo e nella sua imperfezione finisce per somigliare più al guilty pleasure Morbius che allo spaesatissimo Madame Web e dal Marvel-Sony con Jared Leto eredita anche il tono serio-pulp, con alcune punte di tragicità drammatica.
Strutturato come una origin-story non pienamente convenzionale – possiede un lungo flashback nel primo atto per raccontare l’adolescenza di Segei e l’origine dei suoi poteri – Kraven ci introduce un protagonista già in attività, conosciuto dalle sue possibili “vittime” e dalla stampa, un vigilante che si muove su scala internazionale facendo il lavoro sporco che i tutori ufficiali della legge non possono o non sono in grado di fare. The Punisher, penserete voi, e invece anche questo altro super-criminale dell’universo di Spider-Man, in molti momenti del mitico percorso fumettistico, si è sostituito alla legge, perfino al suo arci-nemico rosso e blu quando quest’ultimo era stato dato per morto nel capolavoro che risponde al titolo L’ultima caccia di Kraven.
Ovviamente il film di J.C. Chandor ignora tutto il contesto ragnesco, non si ambienta a New York dove agisce l’amichevole ragno di quartiere, ed evita abilmente tutte le connessioni che il cacciatore ha con altri super-eroi ed elementi in diritti Disney (tipo lo Stato di Wakanda). Ciò, però, non vuol dire che non troveremo in questo film una bella quantità di altri personaggi noti ai lettori dei fumetti, a cominciare dal vero avversario di Kraven, il mitico Rhino, che al cinema abbiamo già visto in The Amazing Spider-Man 2 – Il potere di Electro interpretato da Paul Giamatti nella versione Ultimate del personaggio. In Kraven – Il cacciatore è Alessandro Nivola a vestire i panni di Aleksei Sytsevich presentando non poche differenze in confronto al fumetto: per il 90% dello screentime, Aleksei è Aleksei, appunto, sappiamo che si è sottoposto a un trattamento medico sperimentale che per salvargli la vita da un “brutto male” lo ha dotato di una pelle corazzata e una forza sovrumana, che tiene a bada con costanti iniezioni di un fluido medico non ben specificato. Quel 10%, che poi corrisponde al combattimento finale, Aleksei scatena Rhino e ci ritroviamo davanti al personaggio che conosciamo, in tutta la sua grottesca ignoranza, capace di solleticare il nerd felice che è in ognuno di noi, nonostante le libertà creative che il film si prende.
Oltre Aleksei/Rhino, grande importanza nel film è data a Dimitri Kavinoff, fratellastro di Kraven, che sappiamo essere l’identità di Camaleonte, altro cattivo dell’universo di Spider-Man. La gestione di Dimitri è sicuramente più oculata e l’interpretazione di Fred Hechinger (Caracalla ne Il Galdiatore II) piuttosto convincente. Dimitri è un personaggio fondamentale in questo film, anche più del padre/padrone interpretato da Russell Crowe, e possiamo leggere il film di J.C. Chandor come una sorta di origin-story anche sul personaggio di Camaleonte, che però non è gestito come dovrebbe proprio nel clou della sua presa di coscienza, mostrando una frettolosità narrativa che stona con quanto visto prima.
Citiamo anche la presenza di Calypso, interpretata dal premio Oscar Ariana DeBose (West Side Story), in una versione che non c’entra quasi nulla con il personaggio dei fumetti, e lo Straniero, il misterioso sicario dai poteri soprannaturali nato sulla carta negli anni ‘80 che ha il volto di Christopher Abbott (Wolf Man).
Poi c’è lui, Sergei Kavinoff, aka Kraven, incredibilmente ben reso fisicamente da Aaron Taylor-Johnson, ma svuotato di tutta la personalità e tragicità caratteristica del suo personaggio. E qui cadiamo su uno dei grandi problemi di Kraven – Il cacciatore, la scrittura dei personaggi, tutti piuttosto bidimensionali, privi di quelle sfaccettature che li hanno resi iconici sulla carta. Nel caso di Kraven, per esempio, fatica tantissimo a trovare una concretizzazione il rapporto d’amore/odio col padre, anche se è portante nella stessa formazione del personaggio, mente il passato tragico legato alla madre è solo citato all’inizio e sembra non avere poi più nessuna funzione nella costruzione della personalità di Sergei/Kraven.
Decisamente ben fatte le scene d’azione (che non sono moltissime, a dire il vero), con il momento dell’inseguimento del SUV e poi dell’elicottero davvero spettacolare. Anche il livello della violenza è leggermente più alto in confronto alla media dei cinecomics, con qualche scena gore e sangue digitale, anche se non c’è nulla che possa giustificare il divieto ai minori di 14 anni (per esempio, la violenza grafica in Deadpool & Wolverine è maggiore e il film in Italia non ha divieti). Inaccettabile per un film ad alto budget prodotto nel 2024 è, invece, la qualità degli effetti visivi, bassina e anche aggravata da diversi elementi in CGI evitabili, come tutti gli animali in scena, anche quelli più tranquilli.
In conclusione, Kraven – Il cacciatore è coerente con il resto dei progetti che hanno composto questo universo cine-fumettistico della Sony: progetti gestiti con indecisione e senza una visione d’insieme, nonché privi di qualsiasi vera ambizione artistica. Lo si guarda, passano quelle due ore di intrattenimento basico e si rischia di dimenticarlo in fretta. Ora è tutto nelle mani di Spider-Man in una varietà di progetti tra cinema, tv e animazione, decisamente più solide e sicure.
Roberto Giacomelli
PRO | CONTRO |
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Deadpool & Wolverine ha avuto il divietino come lo chiamo io ovvero il buffo 6+. Detto ciò resto dell’ idea che ormai i cinecomics hanno fatto il loro tempo, anzi hanno proprio rotto le balls, speriamo che facciano la fine dei cinepanettoni, e per me sarà così, alcuni ahimé ancora incassano, ma altri stanno floppando quindi……
C’è proprio bisogno di scrivere parolacce? Invece del rozzo “hanno rotto le balls” si può scrivere un dignitoso “hanno stancato”.