La figlia del bosco, la recensione

Nonostante non sia più un genere particolarmente sfruttato in Italia, ogni tanto l’horror nostrano si riaffaccia timidamente nelle sale o sulle piattaforme streaming. Alcuni prodotti sono molto riusciti, altri decisamente meno, ma è sempre bello vedere film di genere realizzati nel nostro paese, un tempo grande esponente di quel cinema fantastico che oggi si fa sempre più fatica a produrre.

È il caso de La Figlia del Bosco, film scritto e diretto dall’esordiente Mattia Riccio, approdato su Amazon Prime Video e altre piattaforme. Una pellicola passata un po’ in sordina ma che merita un’occhiata da parte degli appassionati.

Il protagonista è Bruno, un cacciatore che si addentra in un bosco in cerca di selvaggina. Dopo una giornata di caccia fallimentare, Bruno si rimette in cammino per tornare a casa, ma si rende conto di essersi perso e di non ritrovare più la strada per il ritorno. Inoltre, si accorge di aver dimenticato cellulare e mappa, dunque orientarsi è praticamente impossibile. Passano le ore e Bruno è sul punto di impazzire. L’uomo comincia a udire un canto sinistro, che lo conduce in una casa in mezzo al bosco, apparentemente abbandonata, ma all’interno della quale trova delle strane bambole di pezza e una tavola imbandita di cibo prelibato. Alla porta della casa si presenterà anche Celeste, una capo scout che ha perso le tracce del suo gruppo. La vicenda assumerà connotati sempre più strani e inquietanti, e Bruno scoprirà che nel bosco si nasconde un’entità che non ha intenzione di lasciarlo andare tanto facilmente.

La Figlia Del Bosco è un film piccolo, praticamente indipendente, e per alcuni spettatori la sua resa poco “cinematografica” potrebbe risultare respingente. Ma il regista riesce a sfruttare ottimamente il poco budget a disposizione, realizzando un film che affascina, coinvolge (anche grazie ad una durata contenuta) e regala una discreta dose di inquietudine.

L’opera si presenta come un vero e proprio folk horror, una fiaba dark che abbraccia leggende e suggestioni popolari per proporre un racconto “ammonitore”. Le influenze sono molteplici: dalle fiabe classiche dei fratelli Grimm come Hansel e Gretel a pellicole “boschive” come The Witch di Robert Eggers, fino al mito delle sirene omeriche e il loro canto ammaliatore. Il repertorio di racconti popolari italiani è sterminato e, pur non attingendo da una leggenda in particolare, Riccio crea una storia che ha il sapore di quelle vecchie fiabe raccontate intorno al fuoco e tramandate di generazione in generazione.

Il regista costruisce un’atmosfera misteriosa, lugubre e labirintica, grazie ad un ottimo uso delle ambientazioni boschive (il film è stato girato tra il Monte Terminillo e il Monte Livata, nel Lazio) e delle musiche, che unite agli inquietanti suoni del bosco riescono a trasmettere il senso di spaesamento e isolamento del protagonista. La prima parte, soprattutto, funziona molto bene in quanto scarna di dialoghi, e riesce a creare un clima “avvolgente” solo tramite il sonoro, il montaggio e i rumori naturali.

La seconda parte diventa più didascalica, i dialoghi aumentano e spesso danno l’idea di essere un po’ troppo artificiosi. Gli attori se la cavano (bravo Davide Lo Coco a restituire un protagonista burbero e non particolarmente affabile), ma risultano più convincenti nei momenti di maggior silenzio e introspezione, piuttosto che in quelli dove devono manifestare disperazione, follia ed emozioni più plateali.

Ciò che non funziona è la scansione temporale. Il film cerca di trasmettere l’idea di un tempo che si dilata, di ore ed ore che trascorrono inesorabili. Ma il passaggio del tempo risulta poco credibile in quanto i vestiti e, in generale, l’aspetto del protagonista rimangono sempre piuttosto intonsi e puliti, poco sporchi e “consumati”; dunque, l’impatto che il tempo dovrebbe avere su di esso avrebbe necessitato di una maggiore cura a livello scenico.

La Figlia del Bosco parla di ecologia e rispetto per l’ambiente, e lo fa tramite la creatura che dà il titolo al film: una figura misteriosa, sfuggente, che osserva e protegge il bosco dall’azione dell’uomo. È una ninfa (o strega?) che cerca di tutelare un ecosistema che necessita dell’assenza della nostra specie per prosperare. Quindi, chi è davvero l’antagonista della storia?

Funzionano il suo aspetto tanto semplice quanto accattivante (il muschio su polsi, piedi e caviglie e un volto incorniciato da ramoscelli), la sua “mitologia” e il suo linguaggio. Una creatura che, intelligentemente, viene tenuta nascosta per quasi tutto il film e di cui non vediamo mai il volto. E ciò, come nei migliori racconti popolari, la rende ancora più affascinante.

Riccardo Farina

PRO CONTRO
  • Un’ottima costruzione dell’atmosfera.
  • L’uso sapiente di ambientazione e sonoro.
  • Un forte senso di isolamento.
  • La creatura funziona nella sua semplicità e nel messaggio che trasmette.
  • Dialoghi e recitazione a volte un po’ forzati.
  • La scansione temporale non convince a livello scenico.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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La figlia del bosco, la recensione, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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