La trama fenicia, la recensione

Andare al cinema per un nuovo film di Wes Anderson è un po’ come incontrare periodicamente quel vecchio amico d’infanzia, ormai un po’ rincoglionito, che ogni volta ti racconta la stessa storiella convinto che sia la prima. Sai esattamente come andrà la serata e, in maniera un po’ masochistica e spinto da quella sensazione di rassicurante ciclicità, provi perfino piacere ad ascoltarla ancora una volta. Ed è esattamente quello che accade con La trama fenicia, dodicesimo lungometraggio del buon Wes Anderson che, esattamente come i precedenti lavori, ha una personalità così forte, ma così forte da somigliare incredibilmente a tutto il resto della filmografia dell’autore, nel bene e nel male.
Ma è ovvio che se siamo in sala a vedere consapevolmente La trama fenicia, vuol dire che quel confortante mondo estetico e un po’ dandy di Wes Anderson lo gradiamo.
Nel 1950, nel fittizio paese mediorientale di Fenicia, il magnate Zsa-zsa Korda (Benicio del Toro) è un uomo d’affari potente e controverso, pieno di nemici che lo vogliono morto e noto per essere miracolosamente sopravvissuto a ben sei incidenti aerei. Accusato di corruzione ed evasione fiscale, Korda è costretto a riorganizzare la sua vita e la sua impresa. Decide così di nominare sua figlia Liesl (Mia Threapleton), una giovane aspirante suora, come unica erede del suo vasto patrimonio e quest’ultima accetta con il solo obiettivo di individuare l’identità dell’assassino di sua madre, rimasto impunito e prevedibilmente vicino agli affari del papà.
Per aiutarla a comprendere le dinamiche del potere e degli affari, Korda affida a Liesl il compito di gestire un ambizioso progetto industriale. Insieme a loro c’è Bjorn Lund (Michael Cera), un eccentrico entomologo norvegese che funge da tutore, contabile e consigliere. La loro collaborazione li porta a confrontarsi con una serie di possibili investitori che possano supportare economicamente l’ambizioso progetto. Inizia così il viaggio attorno al mondo di Zsa-zsa, Liesl e Lund, mentre qualcuno è sempre un agguato per poter eliminare il magnate.
Come si diceva in apertura, chi conosce il cinema di Anderson sa cosa aspettarsi anche da La trama fenicia (The Phoenician Scheme): simmetrie perfette, colori pastello, scenografie da cartolina e un umorismo surreale che sfiora l’assurdo. Ogni inquadratura è studiata nei minimi dettagli, ogni scena sembra uscita da un libro illustrato. Quindi si instaura un vero e proprio patto tra regista e spettatore e se si è disposti a stare – per l’ennesima volta – al gioco, ci si trova davanti a un film che innalza anche di qualche asticella la linea di qualità del cinema andersoniano degli ultimissimi anni.
Infatti, in confronto ad Asteroid City, La trama fenicia mostra una maggiore vivacità, uno stimolo a seguire l’intricata storia che prende a piene mani dal cinema spionistico, popolata da personaggi così sopra le righe da infondere spesso il sorriso.
Nonostante un intreccio che desta l’attenzione, quel che manca alla sceneggiatura, scritta dallo stesso Anderson insieme all’inseparabile Roman Coppola, è però il senso del coinvolgimento, anzi, dell’intrattenimento. Perché se non si riesce ad entrare subito all’interno della storia – e vi assicuro che non è così immediata – proseguire nei 105 minuti di visione non è affatto semplice. Il plot ricco e arzigogolato de La trama fenicia si muove su binari già tracciati nel cinema di Wes Anderson perché si esplora una saga familiare, c’è un’avventura esotica, un intrigo internazionale. Ma la scelta di adattare al tipico stile del regista texano il linguaggio della spy-story rende tutto meno immediato, come se determinati elementi fossero stati inseriti per aggiungere complessità senza una reale necessità.
Come accade spesso nel cinema di Anderson, anche La trama fenicia si sofferma molto su dinamiche famigliari decisamente complesse, in questo caso il film esplora il conflitto tra padre e figlia, una tensione costante che non è solo generazionale ma soprattutto affettiva. Ovviamente la storia suggerisce la possibilità di una redenzione da entrambi i lati, soprattutto quello di un padre che ha vissuto la sua genitorialità con cinica verve imprenditoriale e cerca di recuperare il rapporto in extremis, quando ormai i tempi non sembrano più concederglielo.
Il film vanta un cast stellare: oltre ai già citati Benicio del Toro, Mia Threapleton e Michael Cera, troviamo anche Tom Hanks, Scarlett Johansson, Benedict Cumberbatch, Bryan Cranston, Matieu Amalric e Jeffrey Wright; inoltre intravediamo Willem Dafoe, Bill Murray e Charlotte Gainsbourg, giusto il tempo di un cameo in alcune folli scene oniriche.
Benicio del Toro offre una performance solida nel ruolo di Zsa-zsa Korda e il personaggio stesso è scritto in modo tale da risultare subito accattivante, ma è Mia Threapleton ad emergere con grande forza nel ruolo di Liesl. La figlia di Kate Winslet – che avevamo già apprezzato nel thriller italiano Shadows – offre un’interpretazione intensa e convincente, riuscendo a infondere al personaggio profondità emotiva, ovviamente nel tipico stile dei personaggi molto poco empatici di Wes Anderson.
In definitiva, La trama fenicia è un film che piacerà agli appassionati di Wes Anderson e a chi apprezza il suo stile inconfondibile. Questa nuova incursione nel suo universo visivo e narrativo genera, ovviamente, una forte sensazione di déjà-vu che, ancora una volta, evidenzia la necessità di una reale evoluzione artistica. Ma se ci si accontenta, c’è la soddisfazione che comunque il fascino estetico e l’eleganza formale stavolta sono uniti anche a una trama piena e personaggi sfaccettati che impegnano attivamente lo spettatore nella visione.
Dopo essere stato presentato a Cannes, La trama fenicia arriva nei cinema italiani il 28 maggio distribuito da Universal Pictures.
Roberto Giacomelli
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