MaXXXine, la recensione del capitolo finale della trilogia di X

Quella di Maxine Minx sembra quasi una storia autobiografica, quella del suo regista Ti West: una lunga gavetta nell’agognato mondo del cinema alla ricerca di quel successo che è destinato ad arrivare e deflagrare poi in maniera inarrestabile. Proprio come la protagonista della sua trilogia, infatti, il regista ha lavorato moltissimo nel cinema underground (non a luci rosse, però!) e prima di essere (ri)lanciato dalla A24 con X – A Sexy Horror Story nel 2022 aveva alle spalle quasi vent’anni di piccoli e medi film di genere molto apprezzati dal pubblico del cinema horror… ma sconosciuti ai più. E, che dir ne vogliano i poco preparati giornalisti di Variety e Paul Schrader, non si trattava di slasher-movie (l’unico vero slasher diretto da Ti West è proprio X!) ma di prodotti che spaziavano dal filone satanico/demoniaco (The House of the Devil) a quello dei virus e contagi (Cabin Fever 2) fino al found footage (The Sacrament), la ghost-story (The Inkeepers) e perfino il western (Nella valle della violenza). Ma è, appunto, grazie ad A24, che ha dato il semaforo verde alla trilogia X, che oggi Ti West è tra i più quotati registi mainstream di genere.

Quella iniziata nel 2022 con X – A Sexy Horror Story e proseguita nel 2023 con il prequel Pearl è un’avventura molto particolare che affonda le sue radici nella voglia di rendere omaggio al cinema horror in determinate epoche, cercando quei tratti distintivi che le hanno caratterizzate. Così, se X era un sentito e riuscitissimo omaggio ai primordi dello slasher anni ’70, con il focus sui primi lavori di Tobe Hooper e Wes Craven, Pearl era un raffinato excursus su quell’horror famigliare e da camera degli anni ’60, quello alla Robert Aldrich, per intenderci. Con l’ultimo tassello della trilogia, che temporalmente segue gli eventi di X, MaXXXine, passiamo al decennio successivo, gli anni ’80, con un taglio tranchant che ci immerge in quelle atmosfere da thriller metropolitano glamour e sopra le righe tipico di certo Brian De Palma, del Cruising di William Friedkin e dei nasty videos dell’epoca.

Dopo il massacro nella fattoria texana di cui è stata l’unica sopravvissuta, Maxine Minx si è trasferita a Los Angeles per inseguire il suo sogno, quello di diventare una star del cinema. Mentre prosegue la sua carriera nei film hard e nei locali di spogliarello, partecipa a diverse audizioni per fare il salto di qualità, quello che le consente di entrare nel cinema “che conta”. L’opportunità arriva con The Puritan II, sequel di un grande successo horror che sta per entrare in produzione e per il quale ha ottenuto un ruolo di rilievo. Ma, nel frattempo, le strade di Los Angeles sono terrorizzate dalla presenza di un serial killer che la stampa ha battezzato Night Stalker e che sembra aver preso di mira l’ambiente a luci rosse, in particolare le persone che fanno parte del giro di Maxine.

Se Pearl era profondamente differente da X, MaXXXine lo è altrettanto da entrambi.

Maxxxine

Innanzitutto, un merito enorme di questo film (ma anche dei due che lo hanno preceduto) è la perfetta coerenza con il periodo storico che fa da contesto. Quindi non si tratta di un film che strizza l’occhio agli anni ’80, come spesso accade, con citazioni evidenti e quel sentore plasticoso su ogni fotogramma; piuttosto MaXXXine è un’opera che sembra realmente realizzata nel 1984, ne adotta il linguaggio, il look, la tipologia di personaggi che porta in scena e anche quell’ingenuità che spesso si trova in certi b-movie dell’epoca. Ma, in primis, quello di Ti West è un film cinematograficamente colto, esattamente come lo erano X e Pearl.

Il film si apre con una citazione da Bette Davis: “In questa professione, finché non sei conosciuto come un mostro non sei una star”; e si chiude con delle immagini accompagnate dalle note di Bette Davis Eyes di Kim Carnes. Bette Davis, dunque, una delle dive più discusse dell’epoca d’oro di Hollywood, proprio la protagonista di Che fine ha fatto Baby Jane? e Piano… piano dolce Carlotta che sentiamo echeggiare nelle immagini di Pearl. Ma se la ballata pop di Kim Carnes a chiusura di MaXXXine è forse un semplice espediente sonoro per trovare la quadratura del cerchio (anche se la donna di cui si parla nella canzone richiama molto per aspetto e personalità Maxine Minx), la citazione iniziale è profetica sullo svolgimento del film. Perché il mondo dello spettacolo, del cinema, è spietato come pochi altri, vige la legge dell’homo homini lupus, e l’innocenza, l’onestà, di certo non faranno di un’aspirante attrice una star. Maxine lo capisce presto, ma è la serie di eventi traumatici a cui è sottoposta nel corso delle quasi due ore a forgiare il suo carattere, a farne una stella di Hollywood. Ma anche un mostro.

Maxxxine

Non vivere la vita che non meriti”, Maxine si sente dire fino a distorcere il significato della frase. Ed è proprio sulle aspirazioni di una ragazza che Ti West impianta il cuore della sua trilogia. Maxine, così come l’antesignana Pearl, è nata in un contesto che non le appartiene, rigido e conservatore, che non sente suo, e quindi vuole fuggire e realizzare le sue aspirazioni. A Pearl andrà male, a Maxine forse no. Quindi perché vivere una vita che non merita?

Dal punto di vista della costruzione del personaggio, MaXXXine è molto più vicino a Pearl di quanto lo sia a X, ma da quest’ultimo prende quella spudoratezza, quella voglia di shockare, e la immerge nel perfetto contesto glamour della Hollywood di metà anni ’80, tra night club, cocaina e feste in ville di Beverly Hills. Però, nonostante quello che si possa pensare, MaXXXine non calca mai davvero il pedale del sesso e della violenza come faceva X. O meglio, il sesso rimane quasi sempre off-screen, ma la violenza a sprazzi si manifesta in maniera deflagrante. Se qualche eccesso splatter come un testicolo schiacciato e una testa esplosa completano il quadro facendo di diritto entrare MaXXXine nel genere horror, il momento migliore è invece rappresentato dalla coreografia di un omicidio che ricorda molto da vicino il nostro miglior Dario Argento, centrifugato a dovere con Vestito per uccidere di De Palma. Ed è in questi momenti che scorgiamo la mano citazionista di Ti West, quella che probabilmente ha dato origine alla trilogia.

Pieno zeppo di personaggi, MaXXXine si concentra primariamente sulla protagonista mostrando un’ottima scrittura della stessa, perfettamente coerente ai suoi primi passi nel film precedente, facendone una scream queen, nonché final girl, davvero fuori dal comunque, capace di rompere con coraggio ogni costrizione del suo archetipo. Perché Maxine Minx non era solo una vittima designata in X ed è perfino carnefice in MaXXXine. Perché per diventare una star bisogna essere conosciuti come un mostro, appunto.

Mia Goth è il cuore pulsante di tutta la trilogia, attrice trasformista e poliedrica, nonché co-sceneggiatrice del film e co-creatrice del personaggio insieme a Ti West, che qui porta brillantemente a compimento il personaggio introdotto in X, anche se la sua performance attoriale più convincente rimane quella di Pearl. A circondarla, c’è uno stuolo di star che raramente si trovano in un film di questo tipo: Kevin Bacon, Giancarlo Esposito, Lily Collins, Elizabeth Debicki, Michelle Monaghan e Bobby Cannavale. Ma sono tutti ruoli che altrove sarebbero stati interpretati da caratteristi, volutamente stereotipati, da b-movie, perché la star, il mostro, è Mia Goth.

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Pur toccando la vera storia del Night Stalker, il serial killer che uccise almeno 16 persone tra l’aprile del 1984 e l’agosto del 1985 a Los Angeles, MaXXXine non approfondisce più di tanto la reale storia crime, anzi divaga con elementi di fantasia che aggiungono un contesto appositamente creato per il film. E se vogliamo trovare un macroscopico difetto al terzo film della trilogia di X è proprio l’epilogo che crea.

Non parliamo dell’epilogo per la nostra protagonista, che è perfetto, ma quello della storia thriller costruita all’interno di questo film, che assume connotati abbastanza assurdi, quasi trash. Si, è vero, è perfettamente coerente con il tipo di cinema che lo stesso Ti West sta omaggiando (chi non ricorda l’assurdo colpo di scena di Omicidio a luci rosse di Brian De Palma?) e è anche ben inserito all’interno della narrazione orizzontale della saga, ma la classe che MaXXXine mostra in oltre 90 minuti di durata si accartoccia per un eccesso di zelo da cinema di exploitation che causa anche qualche sorrisino non voluto.

Più ritmato di Pearl, ma meno compatto e iconico di X – A Sexy Horror Story (che rimane il migliore dei tre), MaXXXine è sicuramente il capitolo più ambizioso della trilogia, produttivamente e artisticamente parlando. Nel complesso risulta molto buono, quindi riuscito, ma sicuramente qualche elemento stona al suo interno e la convinzione che si potesse dare un finale più pregnante accompagnerà lo spettatore fuori dalla sala.

MaXXXine arriva nei cinema italiani il 21 agosto distribuito da Lucky Red.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Mia Goth, a capo di un cast all stars.
  • Sembra davvero uscire dal 1984.
  • La sequenza dell’omicidio all’interno della videoteca.
  • Il finale zoppica un bel po’ e cerca la strada dei b-movie, uccidendo quell’eleganza che caratterizzava due terzi del film.
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MaXXXine, la recensione del capitolo finale della trilogia di X, 7.0 out of 10 based on 1 rating

One Response to MaXXXine, la recensione del capitolo finale della trilogia di X

  1. Fabio ha detto:

    una buona conclusione, anche se il plot twist è veramente TROPPO prevedibile, o almeno io avevo capito tutto dopo i primi 10 minuti e appunto la soluzione finale va a strizzare l’occhio (ma anche a copiare spudoratamente) un altro horror uscito in questi anni, di cui non farò nome per non spoilerare.

    Detto ciò West ha creato una saga veramente atipica e per questo non si può che rendergli merito, il migliore secondo me resta il primo X, poi questo Maxxxine e per ultimo Pearl, buon film ma un pò troppo lento e monotono.

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