Mission: Impossible – The Final Reckoning, la recensione

C’è una frase all’interno dell’ottavo e ultimo film della saga di Mission: Impossible che riecheggia più volte, fin dal teaser trailer diffuso nel 2024: “Ogni cosa ha portato a questo”. Quella che inizialmente poteva essere percepita come una scaltra manovra di marketing si rivela, guardando il film, in una vera e propria dichiarazione d’intenti perché Mission: Impossible – The Final Reckoning presenta dei collegamenti ad alcuni dei film precedenti che riescono a creare quella proverbiale quadratura del cerchio, anche in una saga in cui tale zelo narrativo non era strettamente necessario. E allora, l’appassionato di missioni impossibili si divertirà a collegare questo e quello, a volte anche in maniera del tutto gratuita con quel leggero gusto fan-service che sta animando alcune storiche saghe hollywoodiane. Fondamentalmente, però, The Final Reckoning è la Parte Due di Dead Reckoning del 2023, del quale riprende le fila narrative esattamente lì dove le avevamo lasciate.

Sono passati pochissimi mesi da quando Ethan Hunt è entrato in possesso delle due metà della chiave che può portare al codice sorgente dell’Entità, la pericolosissima intelligenza artificiale che può mettere in ginocchio l’umanità se entrasse nelle mani sbagliate. In questi mesi, l’AI, che ha sviluppato una coscienza propria, è riuscita a manipolare il cyberspazio in modo tale da diffondere false realtà e alterare la percezione di semplici utenti e intere istituzioni portando, di fatto, i governi mondiali sul piede di guerra. Inoltre, si è creata una vera e propria setta di seguaci dell’Entità che la adorano e sono pronti a sacrificarsi per il loro nuovo Dio tecnologico.

In questo scenario, Ethan Hunt è completamente scomparso da ogni radar e i servizi segreti americani lo stanno cercando per chiedergli di consegnare la chiave e aiutarli a prendere il controllo dell’Entità. Ma Ethan ha un altro piano: “uccidere” l’Entità, anche se questo potrebbe voler dire causare il collasso totale del cyberspazio. Nel frattempo, anche il terrorista Gabriel è alla ricerca di Ethan, fermamente determinato a recuperare la chiave per attuare il suo nuovo piano, ovvero prendere il controllo dell’AI per dominare il mondo.

Ci togliamo subito il sassolino dalla scarpa: The Final Reckoning non è tra i migliori Mission: Impossibile ed è inferiore anche a Dead Reckoning, che faceva già qualche passetto indietro in confronto ai quattro film che lo avevano preceduto.

Probabilmente gli evidenti difetti che emergono da questo ottavo film sono dati dalla travagliata produzione che ha portato a continui posticipi sull’uscita, inizialmente prevista a pochi mesi di distanza da Dead Reckoning (che, infatti, al cinema portava l’estensione del titolo come “Parte Uno”, poi rimossa per la distribuzione in piattaforma), fino ad arrivare ben due anni dopo dal settimo film.

Infatti, i piani iniziali erano di realizzare Dead Reckoning e The Final Reckoning come un unico grande film diviso in due parti da girare back-to-back. Così non è stato e tra ripensamenti, difficoltà produttive e scioperi vari (fatale quello degli sceneggiatori del 2023), si è optato per un iter classico strutturato in due distinte produzioni, cosa che ha fatto levitare di molto i costi e, soprattutto, ha portato alla sostanziale riscrittura della sceneggiatura. E quest’ultima cosa si nota tantissimo, perché è evidente che qualcosa è stata rimaneggiata, che alcuni dettagli sono finiti nel cestino, che alcune parti sono state aggiunte in corsa, prevedibilmente proprio quelle legate a “ogni cosa ha portato a questo”.  Detto ciò, Mission: Impossible – The Final Reckoning è sempre e comunque un Signor film, uno spettacolo d’intrattenimento appagante che, come ogni capitolo della saga a cui appartiene, riesce a distinguersi sul buon 99% delle spy-stories prodotte a Hollywood… e nel resto del mondo.

È il primo atto la parte più visibilmente in difficoltà di Mission: Impossible – The Final Reckoning, come scrittura e come montaggio. Il film sente il bisogno di fare un corposo e poco fluido recap dell’episodio precedente e così, tra l’iconico momento del “messaggio che si auto distruggerà”, un breve ma intenso momento action che riporta Ethan a riunirsi con la Grace interpretata da Hayley Atwell e alla liberazione dal carcere della Paris di Pom Klementieff, ci troviamo subito scaraventati nel tentativo di connettere questo capitolo con almeno due Mission: Impossible storici e riallacciare il filo narrativo sull’Entità cercando di portarlo al livello successivo.

Questa prima parte si dilunga in chiacchiere, non riesce a trovare per immagini la capacità di portare narrativamente avanti l’azione e presenta ben due sequenze madri. La prima serve a far prendere concretamente coscienza a Ethan dell’Entità: è visivamente ridondante e narrativamente goffa ma fondamentale all’evoluzione della trama. La seconda è invece utile a fornire al protagonista una ragione personale per agire, ma non possiede la giusta enfasi, arriva nel momento sbagliato (troppo presto) ed è come se qualche scena fosse stata omessa in fase di montaggio finale. Insomma, l’innesco di Mission: Impossibile – The Final Reckoning non è dei più promettenti.

Però, poi, il buon Christopher McQuarrie, co-sceneggiatore e regista fin dal quinto film, torna prepotentemente sul pezzo e inizia a inanellare uno dietro l’altro una serie di colpi da maestro clamorosi. La lunghissima sequenza nelle profondità del Mare di Bering, alla ricerca del sottomarino Sebastopol, è pazzesca, da pelle d’oca. Ci troviamo dinnanzi a un vero e proprio manuale della tensione cinematografica: priva di parole e di musica, solamente con i suoni sordi degli abissi, con Ethan Hunt solo ad affrontare la missione più complicata di tutta la sua carriera. Uno degli apici dell’intera saga.

Da quel momento in poi, il film si stabilizza sui canoni a cui la saga ci ha abituati, con azione spettacolare, conti alla rovescia e sequenze di riuscita suspence. C’è un altro grande momento in questo film, quello che impegna Tom Cruise in spettacolari stunt dal vivo, che stavolta prevede uno spericolato inseguimento in aeroplano e conseguente lotta. Anche qui si rimane a bocca aperta per la capacità di creare estrema spettacolarità con effetti speciali limitati e invisibili, sancendo ancora una volta la grandezza di Tom Cruise come performer totale: divo, artista e atleta.

Il modo come il lunghissimo climax finale è costruito, però, ricorda tantissimo lo stesso momento in Mission: Impossible – Fallout, quasi scena per scena, con l’importante scarto che Esai Morales non è Henry Cavill. Infatti, un altro difetto di questo Mission: Impossible, che si trascina però da Dead Reckoning, è il villain umano, il Gabriel interpretato appunto da Morales. Al di là della scarsa espressività dell’attore, è il personaggio a non avere carisma e non risultare temibile come in passato lo sono stati Solomon Lane, Owen Davian o James Phelps. Inoltre, in The Final Reckoning i risvolti legati al ruolo di Gabriel nel passato di Ethan, dettagli intravisti in Dead Reckoning, non vengono chiariti lasciando lo spettatore anche con la curiosità sul trascorso tra i due personaggi.

Molto interessante la chiave di lettura che lo stesso dittico Dead Reckoning / The Final Reckoning offre su un vassoio d’argento allo spettatore, ovvero la demonizzazione dell’Intelligenza Artificiale intesa come apocalittica minaccia per Hollywood e il mestiere dell’artista. Quando il settimo Mission: Impossibile era entrato in produzione non erano ancora chiari i danni che l’AI avrebbe potuto causare ai professionisti dell’intrattenimento. Con The Final Reckoning il concetto viene ribadito e si fa anche più evidente, nonostante il film prenda una strada del tutto fantascientifica che sembra avvicinare l’Entità più a Skynet che a Chat GPT. Ma l’intento è chiaro: resistere e combattere. E il modo pratico per il Cinema dell’intrattenimento è avvalersi di stunt dal vivo, utilizzare il minimo indispensabile la CGI, tornare a sottolineare la grandezza dell’analogico in un modo dominato dal digitale.

Con i suoi evidenti difetti, Mission: Impossible – The Final Reckoning non può, purtroppo, ambire ad essere uno dei capitoli migliori della saga: un peccato, perché è il dichiarato capitolo finale dopo quasi 30 anni di avventure e nella nostra mente riecheggia la frase “ogni cosa ha portato a questo“. Però la costanza e la determinazione di Tom Cruise, la grande professionalità di Christopher McQuarrie e il talento di tutti coloro che hanno lavorato a questo film restituiscono comunque al pubblico un gustosissimo spettacolo di intrattenimento che sa emozionare come solo la grande Hollywood ci ha abituato.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Ha una delle più belle sequenze di suspense di sempre.
  • La bellezza e la spettacolarità degli stunt dal vivo.
  • Tom Cruise è il Divo vecchia scuola che ancora oggi sa imporsi con carisma e professionalità.
  • Un primo atto pasticciato.
  • La (bellissima) sequenza finale somiglia davvero troppo alla stessi di Fallout.
  • Il villain di Esai Morales conferma di essere il peggiore di tutta la saga.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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